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21 ott 2011

Fondation Gianadda

di Luciano Caveri

Una domenica a Martigny, inospitale come Aosta con tutti i locali del centro chiusi, per visitare la mostra del pittore Claude Monet. Scenario la sede della "Fondation Gianadda", famiglia vallesana di origini piemontesi che, nel ricordo di un familiare morto in un incidente aereo, si è dedicata al mecenatismo ma senza disdegnare il business. Monet era un genio e l'esposizione, ricca di tele bellissime, sazia qualunque ammiratore. Uno stupore per me sono risultati i quadri degli oliveti di Bordighera. "Gianadda", a due passi da noi, macina successi dopo successi, merito di una programmazione "grand public" che mira al sodo e raramente sbaglia il colpo. Così attira numeri importanti, anche se è bene riflettere sul progressivo invecchiamento dei visitatori delle mostre, escludendo le scolaresche precettate. Lo spazio espositivo, un funzionale cubo di cemento, costruito inglobando ruderi di un tempio gallo-romano, ha come annesso un giardino artistico e da noi sarebbe chiuso per le clamorose barriere architettoniche (non so bene se le norme antincendio siano in Italia più severe), i gabinetti rari e minuscoli e la ristorazione mediocre nella struttura all'aperto. Ma ciò nulla toglie alla "success story" di questa famiglia e della Fondazione, coadiuvata intelligentemente dal settore pubblico. Un modello ben diverso dal nostro, dove mecenati non se ne vedono e tocca al pubblico occuparsi di questa parte di cultura. Certo abbiamo alcuni spazi espositivi che sono ben più prestigiosi, ma non sempre egualmente fruttuosi. So che non è facile farlo.