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19 set 2011

Trenta candeline per "La Stampa" in Valle

di Luciano Caveri

La "moviola" è sempre esistita: non è affatto un'invenzione televisiva. Il meccanismo ce l'abbiamo nella testa e consente di tornare indietro agli episodi della propria vita, che esattamente come le vecchie immagini registrate appaiono un poco sbiadite e restituiscono in pieno un'atmosfera passata. Così per i trent'anni dell'edizione valdostana de "La Stampa". Chissà che un giorno, con la giusta dovizia nelle ricerche, qualcuno non si occuperà di riscrivere la storia di quello sparuto gruppo di ragazzi che cominciarono a fare i giornalisti in un momento di trasformazione del giornalismo valdostano. Con la seconda metà degli anni Settanta nascono e si sviluppano, fra alti e bassi, le radio e le televisioni "private" ed alla fine di quegli anni appare sulla scena - nel dicembre del 1979 - il telegiornale "Rai" nel solco della "Voix de la Vallée". Gli anni Ottanta vedono la nascita delle pagine locali del quotidiano torinese, affiancandosi nei due anni successivi al giornale che da tempo aveva una pagina locale, "La Gazzetta del Popolo" e che proprio nel 1983 cesserà di esistere, mentre poco dopo nasceva "La Vallée notizie". La vera fucina dove tutte le "nuove energie" si trovarono, magari vivendo assieme più o meno tempo, fu "Rta - Radio Tele Aosta" dell'impresario edile Giuliano Follioley (oggi ottantenne in grande forma). Ecco perché mi fa sorridere vedere nella foto della redazione de "La Stampa" degli esordi Enrico Martinet, Dario Cresto-Dina (all'epoca "Crestodina") e Beatrice Mosca con Piero Cerati. Eravamo stati assieme, in diversi momenti, in quella televisione privata e allora e negli anni successivi abbiamo vissuto assieme sugli stessi episodi di cronaca e poi me li sono ritrovati – "Bea", ragazza bellissima e sorridente, e "Chicco", cantore stralunato ma meticoloso di storie e pensieri – dall'"altra parte della barricata" nel mio impegno politico (e spesso certi articoli oppure il silenzio tombale sulla mia attività parlamentare mi facevano arrabbiare), mentre Dario spiccava il volo fuori Valle (oggi seguo il suo blog un po' surreale sul sito di "La Repubblica", di cui è vice direttore). Il loro capo, Piero Cerati, appariva come un uomo burbero, ma poi ti accorgevi subito che era un generoso e che giocava un parte che lo faceva persino sorridere da solo. Così siamo tutti invecchiati nei rispettivi ruoli e nei cambi di attività o di visuale, mentre irrompevano sulla scena nuovi colleghi che seguivano la strada di noi "decani". Oggi la squadra de "La Stampa" è piena di giovani e alcune vecchie glorie non mollano il tiro. A dirigere c’è un valdostano "di confine", Stefano Sergi. La prima volta che l'ho incontrato era un ragazzino che faceva autostop a Gaby. Io, caricatolo sulla macchina, ero convinto che fosse venuto a seguire il mio comizio e gli chiedevo dei commenti. Lui in verità era salito nella vallata per portare una ragazza in camporella e rientrava a Pont-Saint-Martin non c'entrando un fico secco con la serata politica, ma non me lo disse. Beata gioventù!