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24 ago 2011

L'occupazione pacifica

di Luciano Caveri

Il giardino o parco pubblico, specie in Aosta, ha una sua dimensione storica. Si tratta di aree ben definite nella mappa della città e in molti paesi della Valle esistono aree simili più o meno antiche, magari annesse a castelli. Oggi, quando si parla d’integrazione, un tema delicato del rapporto, spesso problematico, con le nuove ondate migratorie che investono anche la Valle, si fanno discorsi teorici molto importanti. Sono stato promotore di studi sul tema, perché un fenomeno lo si capisce solo se lo si studia e lo si osserva, comparativamente, guardando quanto è stato fatto dagli altri nel delicato rapporto reciproco, fatto di un incrocio di diritti e doveri. Chi mi conosce sa che ritengo questo problema uno dei temi delicati del futuro: gli atteggiamenti di chiusura o peggio ancora xenofobi non servono in una Valle nella quale, senza far discorsi idealisti di eccessivo spessore, la situazione demografica obbliga a sistemi intelligenti di regolazione dell’immigrazione per evitare che i flussi siano frutto della casualità o peggio ancora dei maneggi di certe mafie. L'altro giorno, con uno scarno sms, mio figlio Laurent mi ha scritto: "Gli immigrati hanno invaso i parchi pubblici!" e poi più tardi mi ha indicato lui stesso le panchine sulle quali c'erano persone stese. E' un fenomeno che ho notato io stesso parecchie volte e mi pare che oggi si potrebbe quasi tracciare una sorta di carta geografica delle etnie e delle professioni in diversi giardini, grandi o piccoli, della città. Il parco pubblico diventa luogo d’appuntamento, di tempo libero o di riposo con gruppi di persone che, legittimamente, si trovano fra loro per farsi compagnia e per reciproca solidarietà. Questo ritrovarsi assieme è lo stesso meccanismo di difesa e di riconoscimento reciproco adottato dalle comunità valdostane di prima emigrazione a Parigi piuttosto che a New-York. Tuttavia, per chi osserva dall’esterno, senza essere ipocriti o buonisti, questa logica, che siano gruppi di giovani extracomunitari della stessa etnia o badanti provenienti dallo stesso Paese, finisce per essere avvertita con qualche forma di timore o di scocciatura da parte del resto della popolazione. Mio figlio ha espresso sinteticamente un pensiero comune e lo ha fatto senza malizia, avendo tra l’altro notato lui stesso che, specie d'inverno, questo avviene anche nella Biblioteca regionale di Aosta e anche in altre biblioteche della Valle. Non ho risposte: capisco comunque che questa "occupazione" degli spazi pubblici va in qualche modo risolta, dialogando con gli interessati.