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15 ago 2011

Guardare al domani

di Luciano Caveri

Con la morte di Renzo Vuillermoz, scompare – e qui gli rendo omaggio, ricordando il suo modo diretto di affrontare i temi - un'altra delle figure di spicco dell’imprenditoria valdostana. Penso a personaggi come Piero Enrietti ed Efisio Noussan, espressione di quell'entusiasmo del dopoguerra, specie dei mitici anni Sessanta, che aveva portato alla nascita di attività economiche a dimostrazione di una rete di imprenditori locali pronti ad affrontare il mercato. Sono storie singolari le loro, che meriterebbero forse, assieme a molti altri, il racconto attraverso una serie di ritratti che finirebbero per essere esemplari di un’epoca in cui l'entusiasmo e la voglia di "intraprendere" erano il contraltare al baratro del fascismo.

Il boom economico è stato uno strano fenomeno in cui l'economia volava non solo perché era il momento della ricostruzione fisica e morale, ma perché l'ottimismo consentiva scelte ardite. Sembra quasi, decennio dopo decennio, partendo dal culmine degli anni Settanta, che lentamente un'ombra grigia si sia trasformata nel buio di questo periodo in cui la preoccupazione incombe sulle nostre vite. Scherzavo giorni fa sul fatto che, per mia fortuna, ho ancora fruito di un pochino dell'energia positiva di quel passato ricco di speranze per evitare oggi di piombare in un pessimismo depressivo. L'internazionalizzazione, chiave del successo di alcuni, è stato un problema crescente per parte del settore industriale e ancora oggi non esiste più barriera protettiva che ci consenta di vivere sereni e questo avviene in diversi settori dell’economia e delle professioni. La tendenza naturale potrebbe essere quella di ripiegarsi al proprio interno, alla ricerca di elementi rassicuranti, di una sorta di quieto vivere. Purtroppo per il futuro della Valle, fatto salvo l'impegno di sfruttare al massimo la nostra autonomia sino al limitare dei rigidi confini delle normative europee, non esiste possibilità di scelte "isolazioniste" o "autarchiche" e, specie nei giovani, dobbiamo coltivare la necessità – per chi ne ha la vocazione – di diventare piccolo o grande imprenditore. So che molti giovani potrebbero reagire ponendo le generazioni precedenti, quella dei miei genitori ma ormai anche la mia, sul banco degli imputati, perché colpevoli di aver fatto credere loro che tutto era facile, raggiungibile, comodo. Mentre oggi parliamo di sfide, di competitività, di precariato. Ma questo gioco delle reciproche accuse sarebbe alla fine interessante ma sterile. Meglio è capire bene dove siamo e dove vogliamo andare, sapendo che oggi l’esame della situazione non si presta a rozzezze o semplificazioni. Bisogna usare strumenti d'analisi sofisticati e non andare ad istinto, come spesso si è portati a fare. Quando guardo le analisi, per carità criticabili come tutto, dell’Europa all'orizzonte 2020 penso che questa sia la strada per evitare improvvisazioni. Scavare nel nostro futuro, pur con tutti i limiti delle pianificazioni e delle simulazioni, vuol dire pensare anche al tessuto economico e imprenditoriale per evitare che "vuoti" ci facciano sprofondare in ulteriori incertezze.