Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
15 mag 2011

L'emozione del "Giro"

di Luciano Caveri

La morte violenta del ciclista fiammingo Wouter Weylandt, ieri al "Giro d'Italia", colpisce e addolora, in uno sport fatto davvero di grande fatiche, ma pieno di storie da raccontare. Il "Giro" è e resta una costante della propria vita, anche se oggi lo seguo distrattamente nelle cronache giornalistiche. C'è stato un tempo, da bambino, in cui non perdevo le cronache radiofoniche e poi, più avanti, le lunghe dirette televisive del pomeriggio. In fondo il "Giro" corrispondeva sempre alle ultime settimane di scuola e dunque era una specie di premessa all'estate. E sempre d'estate, sulle piste in sabbia sulla spiaggia (magistralmente costruite con tanto di muraglioni), avevo da bambino le mie biglie in plastica con i campioni preferiti in fotografia. Ricordo, però, la viva delusione di quando vidi la prima volta il "Giro" - non so bene che anno fosse - piantato lungo via circonvallazione a Verrès in preda ad un'emozione febbrile. Affascinato dalla "carovana" che precedeva i ciclisti, visto che lanciavano piccoli regalini, rimasi male del fatto che il "gruppo" passò ad andatura sostenuta e tutto finì in quattro e quattr'otto con evidente delusione. Chissà che cosa mi aspettavo!