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20 apr 2011

Giornalismo

di Luciano Caveri

Appartengo ad una corporazione, quella dei giornalisti e confesso un crescente imbarazzo per un sistema che cambia malamente. Ho cominciato nel lontano 1979 a fare questo lavoro "in regola" e nel 1982 sono diventato professionista, nono iscritto all'Albo e dunque fra i più "anziani" in Valle. So bene che la "neutralità" del giornalista è una panzana, perché ciascuno porta nella sua attività le proprie idee e le proprie convinzioni, ma questo non ha niente a che fare con l'indipendenza di giudizio e l'onestà intellettuale. Essere "faziosi" per partito preso un tempo era impensabile nelle forme grottesche assunte quest'oggi. Il "caso italiano" disegna un mondo sbilenco in cui un Premier gigante nel settore informativo ha creato la situazione in cui in molti campano di "faziosità", come si trattasse di una medaglia e più gridi e più fai carriera in qualunque schieramento di questa guerra mediatica. I giornali - e figurarsi i telegiornali - diventano una bandiera e quando prendi in mano un quotidiano o schiacci un canale con il telecomando sei già catalogato, come un tempo avveniva solo con la stampa di partito. Non sono "Alice nel Paese delle Meraviglie", osservo solo che troppo spesso l'indipendenza e le elementari regole deontologiche cadono nel vuoto. Così per "capire" bisogna usare il buonsenso simile a lenti correttive di una realtà distorta e sembra ingenuità invocare banali regolette come evitare di "impastare" fatti e commenti o verificare con attenzione le fonti e la loro qualità. Anche questo vorrebbe dire essere un Paese normale.