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28 mar 2011

Messaggio in bottiglia

di Luciano Caveri

Sono unionista da sempre, come se fossi stato precettato fin da ragazzo. Ricordo le riunioni della Jeunesse Valdôtaine all'epoca del Ginnasio e immagino che le mie prime tessere unioniste, come si usava un tempo con l’iscrizione al Mouvement dei membri della famiglia, siano state d'emblée pagate da mio papà. Ho sempre respirato l'aria della politica e ricordo come una specie di "Manitù" lo zio Severino, uno dei fondatori dell'Union e suo leader, oltreché Presidente della Valle e deputato (oggi nei discorsi ufficiali non lo si cita, ritenendo che sarebbe un punto a mio favore, che miserie...). Con il tempo ho capito bene quanto abbia significato la nascita dell'UV e il suo ruolo nella storia valdostana e credo immodestamente di aver scritto anch'io qualche pagina di questa lunga storia.

Un Movimento politico è come un essere vivente che giustamente non resta mai statico, non fosse altro che per questioni generazionali. Il passaggio di testimone non è solo un segno di buona salute per evitare partiti gerontocratici fatti solo da vecchietti imbevuti di reducismo, ma assicura anche la sopravvivenza perché la pianta può avere buone radici ma se non è vitale secca e muore. La scelta di far parte di un Movimento politico, al di là appunto della logica familistica, deve essere una decisione consapevole, che è cosa diversa da chi sceglie una forza politica alle elezioni. Quella è un'adesione che può avere caratteristiche passeggere o emotive, mentre una tessera di partito – se non la si piglia episodicamente per averne qualche vantaggio, ma è un fuoco fatuo – è una scelta forte e responsabilizzante. Una volta – se non fosse che la Valle ha un record di separazioni (anche io ho dato) e di divorzi – avremmo potuto dire che si trattava di un matrimonio fra una persona e le idee e i programmi che un partito definisce per il futuro di una certa comunità. Questo legame forte io lo sento davvero e ho avuto la gioia, in quasi venticinque anni di politica, di capire quanta importanza ha avuto l'UV nella vita di moltissimi militanti, che ho incontrato spesso facendomi raccontare le vicende più intricate e difficili dal 1945 ad oggi. Di una buona parte di queste, dalla fine degli anni Settanta, sono stato testimone diretto, prima come giornalista e poi nella politica attiva. Anni fatti di amicizie, di inimicizie, di speranze, di delusioni, di alti e di bassi, di entusiasmi e di depressioni. La politica è come la vita e dunque un altalenare di gioie e dolori, di contentezza e tristezza e di tutto quel bagaglio di emozioni e sentimenti che caratterizzano la nostra umanità. Oggi cerco di guardare con razionalità – impossibile farlo con freddezza – a questo lungo percorso e mi domando dove sono e dove voglio andare. Credo che sia normale che ciò avvenga, forse perché passati i cinquant'anni ti sopravviene un senso di tempo che fugge e non hai più quella specie di "tabula rasa" ancora tutta da scrivere che ti si spalanca davanti quando sei giovane. Ora devi, se ti sarà consentito dalla durata reale della tua esistenza, centellinare le forze, prendere bene le misure del tempo, capire dove concentrare le tue energie, valutare con esattezza le priorità. In questo, alla fine, sei piuttosto solo con te stesso. Per carità, chiedi ai familiari e agli amici, parli con altre persone, finisci persino per spiare che cosa fanno gli altri o per studiare che cosa hanno fatto altri in passato, magari in circostanze analoghe a quelle che tu ti ritrovi a vivere. Vedremo. Intanto annoto qui questi miei pensieri, in fondo "imprigionandoli" in questa sorta di diario pubblico che finirà per essere anche per me come un messaggio messo in una bottiglia.