Le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi (che secondo Gianfranco Fini mira all'"impunità", nascondendosi in sostanza - questa la tesi - dietro un concetto del voto popolare come "copertura" di qualunque cosa) hanno influenzato tutto il percorso della sua carriera politica da quando è «sceso in campo» ad oggi. Ci sono state leggi "ad personam" per attenuare o rinviare i guai con la giustizia del Presidente del Consiglio e ancora oggi quando si discute delle riforme della Giustizia (uso la maiuscola per l'ampiezza dell'impegno...) è facile verificare che le proposte sono riportabili sempre al solito punto. Questa circostanza purtroppo finisce per falsare un dibattito serio sulle riforme davvero necessarie. Ci riflettevo dopo la fine degli arresti domiciliari di Silvio Scaglia, trascorsi tra l'altro nella sua casa di Antagnod, frutto certamente del caso ma che ha confermato, anche in una circostanza drammatica della sua vita, il suo legame affettivo con la nostra Valle. Scaglia, inquisito in una complessa vicenda, era rientrato volontariamente in Italia, come si dice in queste circostanze «per collaborare» ed invece per un anno, malgrado appelli di tutti i generi che mostravano l'infondatezza della misura, è stato prima in galera e poi ai domiciliari. Sarà il Tribunale di Roma a decidere se è colpevole o innocente per i reati di cui è accusato, ma il suo è un caso esemplare del malfunzionamento della giustizia e credo che ciascuno di noi, per esperienza personale o per casi noti, potrebbe raccontare di come le cose non funzionino e dunque le riforme non sarebbero solo utili ma risultino indispensabili. Purtroppo il dibattito, in questa fase storica, è falsato sin dall'inizio.