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12 gen 2011

Franc-parler

di Luciano Caveri

Sarà pur vero che, come si dice, «la strada verso l'inferno è lastricata di buone intenzioni», nel senso che c’è chi, inalberando propositi nobili e condivisibili, finisce per farsi i fatti suoi senza scrupoli di coscienza. E sembra di sentire, a questo proposito, la vocina di Giulio Andreotti, impersonificazione di una politique politicienne, quando ammoniva: «a parlar male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina». Ma, nella speranza di non cadere negli stessi errori e profittando del passaggio da un anno all'altro, come sottrarsi a quest'impegno di riflettere sul da farsi di fronte al susseguirsi dei mesi a venire? Una sorta di impegno da assumere e di cui sarà facile verificare l'avvenuto rispetto. Ciò premesso, vorrei che questo 2011 fosse all’insegna del "franc-parler", come si dice in francese, che temo già sia un mio difetto congenito che non sempre porta bene.

Un pensatore conservatore, che visse per un certo periodo in Valle, Joseph de Maistre scrisse: «Dieu donne à la franchise, à la fidélité, à la droiture un accent qui ne peut être ni contrefait, ni méconnu». Se usa un termine diverso con Luigi Pirandello, che ama far capire la complessità dei fatti, quando dice: «nulla è più complicato della sincerità». Eppure è una strettoia a cui non si può sfuggire, specie quando il capo si incanutisce e le proprie convinzioni si fanno solide con la maturità, specie se le convinzioni sono sempre state le stesse in un mondo in cui spesso le banderuole seguono i venti che mutano con grande agevolezza, contando sulla smemoratezza dei più.