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12 nov 2010

Il tempo che cambia le espressioni

di Luciano Caveri

E' divertente come ogni generazione, senza scomodare la semantica, abbia le proprie espressioni e come ogni parola sia cangiante nel tempo. Dal passato arrivano modi di dire del genere «sei come la regina Taitù», che non è un complimento perché riferita all'imperatrice etiope che si «dava delle arie» (oggi diremmo «se la tirava»), oppure «non vale un Kaiser» in spregio all'imperatore tedesco. A mia figlia è sempre piaciuta l'espressione del benessere, di cui immagino l'origine, «sto bene cone il Califfo di Bagdad», mentre mio figlio era incuriosito del «trovarsi al pian dei babi», piemontesismo che implica i rospi e significa essere «con il sedere per terra». «Essere nell'asilo "Mariuccia"» significa infantilismo nei comportamenti di un gruppo d'adulti, mentre si riferisce alla nobile istituzione laica milanese di "assistenza alle fanciulle pericolanti" (termine che nessuno oggi userebbe per la tanto chiacchierata Ruby Rubacuori). «E' come il "Circo Togni"», riferendosi all'ambiente circense, è di facile comprensione nel senso di ambiente "incasinato" (che viene da "casino" di cui i giovani non hanno esatta consapevolezza nell'uso). La televisione ci ha imposto delle novità "generazionali" con il "Carosello", genere «cala Trinchetto» (Capitan Trinchetto) o «E' un'ingiustizia però...» (Calimero), mentre come dimenticare i congiuntivi stramplati di Fantozzi e la sua espressione «è una cagata pazzesca», che assomiglia a certi tormentoni stagionali che nascono oggi con "Zelig". L'elenco può essere arricchito all'infinito, ad esempio mi ero dimenticato dell'apporto fondamentale venuto alla nostra crescita dal pagliaccio Scaramacai, da cui l'espressione - incomprensibile ormai a molti - «faccia da Scaramacai».