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05 ott 2010

S.P.Q.R.

di Luciano Caveri

I romani di oggi non hanno niente a che fare con i Romani. Per cui se è ridicolo che alcuni valdostani si vedano solo quale incarnazione dei Salassi duri e puri, come se i romani non avessero inciso sulla "civilisation valdôtaine" dalla fondazione in poi di Augusta Pretoria, è altrettanto risibile che un romano odierno si senta erede duro e puro della Roma dell'Antichità. Opposti estremismi che fanno solo male, come l’uso dell'acronimo S.P.Q.R. fatto da Umberto Bossi, che al posto di "Senatus populusque romanus" (Il Senato e il popolo romano) ha letto - "La Padania" sostiene che si trattava di una battuta - "Sono porci questi romani", volgarizzando l'espressione pronunciata da Obélix che nell'edizione italiana usa, per l'inventiva del traduttore, il comico Marcello Marchesi, il "Sono pazzi questi romani", che era semplicemente nell'Astérix in francese "Ils sont fous, ces Romains". Tutto ormai è riducibile a battuta, in una specie di rissa continua, in cui sono da rimpiangere i vecchi pastoni politici di un tempo, sostituiti dal battutismo: pillole di dichiarazioni di "portavoce" che cercano i pochi secondi di fulminare l’avversario in un clima greve in cui la politica sembra ruotare solo attorno alla celebre casa di Montecarlo. "O tempora, o mores!" Nota imprecazione ciceroniana, che nulla ha a che fare con Lele Mora…