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03 set 2010

Una politica europea per i rom

di Luciano Caveri

Dire "rom" (definizione giusta rispetto a "zingari") vuol dire tutto e niente: ci si riferisce infatti ad un popolo che ha al proprio interno situazioni diversissime fra mantenimento della logica nomade e invece una forte scelta stanziale e condizioni di vita ulteriormente differenti nei singoli Stati europei. L'Italia, come dimostrato dal rogo delle scorse ore in un campo nomadi a Roma, oscilla fra situazione agghiaccianti e rari esempi di efficienza. Certo, il problema è europeo e non a caso se n'è occupato il Parlamento europeo ed il Consiglio d'Europa (dove, lo dico per inciso, sono stato di recente rinominato) segue da anni quella che può essere considerata la più grande minoranza etnica nel Vecchio Continente, che in Valle d'Aosta ha avuto per altro presenze sporadiche, spesso legate ad accampamenti nell'ambito di spostamenti di lungo raggio. La Francia, su indicazione del Presidente Nicolas Sarkozy, specie dopo i fatti di Grenoble, ha deciso lo spostamento in massa di centinaia di "rom" irregolari con la complicazione che le misure, che sono su base volontaria, riguardano un Paese comunitario qual è la Romania, i cui cittadini sono dunque a pieno titolo cittadini europei e quindi maggiormente liberi nella mobilità all'interno delle frontiere comunitarie. Il discusso "pugno di ferro" francese, che segue - tanto per dirci la verità - un comune sentire di larga parte della popolazione, obbligherà la Commissione europea a decisioni serie rispetto ad un certo balbettamento sul tema. Personalmente credo che sia necessaria una chiarezza di partenza: chi è in regola e si comporta correttamente, nel rispetto naturalmente dei propri usi e costumi senza fare del relativismo culturale un idolo intoccabile che consenta di fare delle cose contra legem, ha gli stessi identici diritti di un qualunque altro cittadino, ma chi sgarra non può giocare poi a fare il perseguitato politico.