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05 set 2010

Risanamento del bestiame

di Luciano Caveri

Quando di un certo tema d'attualità si occupa la Magistratura, è necessario scrivere con cautela, ma non vorrei neppure far finta che la notizia non esista. Mi riferisco all'inchiesta sul risanamento del bestiame che sta per sfociare nella fase processuale. Credo di essere fra i pochi, per caso, che ha sempre seguito lo sviluppo delle due grandi malattie del bestiame (tubercolosi e brucellosi) nella nostra Valle, dove il patrimonio bovino ha un'importanza capitale per il settore agricolo. Il caso sta nel fatto che quello del "risanamento" è stato uno dei lavori principali che ha occupato mio papà veterinario dagli anni Cinquanta sino al suo pensionamento. Se penso a Sandro, mio padre, lo ricordo immerso nei suoi registri, Comune per Comune, dove appuntava - con la sua scrittura tutta a punte - stalla per stalla e animale per animale i progressi, spesso altalenanti, delle campagne contro queste zoonosi (cioè malattie trasmissibili all'uomo). C'erano allora due elementi di angoscia: il primo derivava dalla stranezza dell'andamento delle malattie che mettevano a dura prova le sue conoscenze scientifiche; il secondo stava nel fatto che c'era un minoranza di "furbi" che sfruttavano, con opportuni trucchetti che influivano sui test, i vantaggi economici del "risanamento". Quando ho avuto responsabilità di Governo, ho sempre condiviso la linea - e lo scrivo senza entrare in problemi troppo tecnici, come l'uso discusso del gamma interferone - della massima severità con critiche feroci di alcuni allevatori, che sembravano non capire che l'obiettivo di essere zona indenne da certe malattie non era un capriccio ma una necessità. Bisogna cioè evitare i rischi per la commercializzazione di un formaggio, come la "Fontina dop", per la cui produzione vi è solo un riscaldamento del latte e non una pastorizzazione e dunque avere "allevamenti indenni" o percentuali regionali al di sotto di una certa "soglia comunitaria" è appunto una necessità.