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28 apr 2010

Sapere dire di «no»

di Luciano Caveri

Ogni generazione ha sulla testa delle droghe che la minacciano. Sulla mia e dintorni incombeva da adolescenti soprattutto l'eroina - e qualche amico ci ha lasciato la pelle - oppure l'Lsd, piuttosto sottovalutata, e qualcuno si è fuso il cervello. La cocaina, fenomeno marginale nella mia gioventù, ha colpito duro più tardi su qualche mio coetaneo che si è trovato prigioniero della sostanza e sarebbe istruttivo che i politici si sottoponessero all'apposito test. Certo le scelte sono sempre personali - nel mio caso certe droghe non mi hanno mai interessato per un'autoinformazione dovuta a letture da ragazzo - ma non sono mai banali quando alimentano un mercato che consente alle mafie di prosperare e quando ti rovinano la vita facendoti schiavo.     Mi raccontano che la "bamba" è ormai un fenomeno anche da noi in Valle per i giovanissimi e mi dicono di come questa droga attraversi ormai tutte le categorie sociali, avendo perso quel "carattere vip" di un tempo (si fa per dire...) e diventando il suo consumo di banale ordinarietà e catena a cui legarsi per una costosa tossicodipendenza. Parlo delle droghe con i miei figli, compresi quegli orrori chimici di nuova generazione, sperando di capire qualcosa e di porre correttamente il tema, sapendo che alla fine saranno loro, con il loro bagaglio di conoscenze e di idee, a dover dire «no» quando capiterà. Io avrò avuto quindici o sedici anni quando mi allungarono una siringa e il mio «no» fu una scelta di campo ragionata.