Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
09 mar 2010

Attorno alla patata

di Luciano Caveri

E' vero che gli "Ogm" non possono essere impiantati in Valle, ma  basta un'occhiatina in qualche orto per vedere che forse sono già qui questi prodotti di laboratorio con ortaggi giganteschi, tipo zucche che sembrano una "500" e pomodori oversize. Per altro - lo dico rispetto alla patata transgenica autorizzata dall'Unione europea (siamo sicuri che questo non caduchi i blocchi della legislazione regionale?) - non ho grandi certezze in merito e invidio chi ce le ha e in Italia il "no" agli "Ogm" è davvero trasversale, anche se basato su una ragione più emotiva che scientifica. La patata da noi (trifolla o tartifla, quando il francoprovenzale non era vittima degli italianismi) ha avuto una storia difficile: arrivata a metà Settecento portata dalla Francia da un notaio di Châtillon è stata inizialmente avversata, anche dal celebre dottor César Grappein di Cogne che pensava che "risucchiasse" i veleni della terra, per poi diventare un must dell'alimentazione povera ormai assurta a leccornia tradizionale a dimostrazione che le innovazioni un giorno o l'altro possono diventare autoctone più che mai e, come è avvenuto con la "trifolla", sostituire coltivazioni precedenti. Chi ha in Valle il proprio campo di patate esibisce il prodotto, mentre altrimenti ognuno di noi ha qualche fornitore e naturalmente decanta la bontà di questo tubero - che penso abbia con la "Fontina" la morte sua - che ormai consideriamo alpino in barba all'origine sudamericana. Un esempio di felice integrazione...