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17 dic 2009

La parolaccia

di Luciano Caveri

Mi aveva molto divertito leggere che nei graffiti, stratificatosi nei secoli sulle pareti del castello d'Issogne, ci fossero delle parolacce. Per cui l'uso odierno - o forse l'abuso - è nel solco delle tradizioni... Da ragazzino, ad esempio, ero incuriosito dai miei amici imperiesi per l'utilizzo, assai ripetitivo, dell'interiezione «belin», che mostra - rispetto al patois che è abbastanza scevro da l'uso ripetuto delle parolacce - un uso dialettale divertito di un'esclamazione che naturalmente con l'uso perde, come in questo caso, il riferimento all'organo maschile o (penso a certi lombardi) all'organo femminile. Sono queste due - pur a seconda delle zone e in infinite varianti che ricordo snocciolate da Roberto Benigni - le espressioni colorite che più si utilizzano nelle lingue locali o nell'italiano nelle sue molte varianti. In politica si usano le parolacce? Gianfranco Fini lo ha appena fatto, non a caso di fronte ad un platea di giovani, definendo «uno stronzo» chi è razzista, probabilmente per trovare un'assonanza linguistica con quel pubblico. Comunque l'uso esiste e ricordo, in certe agitate sedute della Camera, come la Presidenza richiamasse chi nella foga si faceva scappare l'insulto o l'espressione salace, fedelmente riportate da quegli artisti della trascrizione che sono sempre stati gli stenografi parlamentari, ben prima delle registrazioni.