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26 ago 2009

Colonialismo

di Luciano Caveri

L’etimologia di colonialismo viene dal latino colonia, dal verbo colere, cioè coltivare. Vista così se ne potrebbe dare il significato dolce di una storia simile a quella dei walser che occuparono pacificamente, un migliaio di anni fa, le vallate attorno al Monte Rosa per coltivarle e per costruirci i loro villaggi, base anche dei loro commerci. La storia attraverso i millenni ha tinto il colonialismo antico e più recente di una coloritura ben diversa. Noi occidentali abbiamo razziato il mondo intero e soprattutto abbiamo pervicacemente dato al mondo una visione etnocentrica, a nostro favore. Portare - così si pensava - la civiltà, imporre i nostri usi e costumi e trasferire la nostra religione è stato un principio intriso di violenza ed arroganza.

Ricordo alcune lezioni magistrali del Professor Giuseppe Morosini, con cui diedi due esami all’Università: "Storia dell’Africa" e "Sociologia dei Paesi in via di sviluppo". Era un personaggio singolare: valdostano e internazionalista. Ritrovava da noi molte delle sue radici, ma assieme c’era la scelta militante, specie in Angola, dove aveva applicato sul campo quella sua visione marxista che era stata la sua stella polare, ma quando lo conobbi mi sembrava molto cauto e misurato in alcuni suoi giudizi, forse per gli insegnamenti di una vita in parte avventurosa. Eppure certi insegnamenti, le lezioni impartite e i libri consigliati non si dimenticano mai. Ci pensavo in questi giorni, ragionando su questo flusso che è ripreso sulle coste italiane: i barconi e i gommoni rovesciano dolori, ansie e speranze di persone provenienti proprio da quei Paesi strangolati dal colonialismo, dal neocolonialismo, dal post colonialismo. L’Italia, nella speranza di metterci un taccone, si è messa a trattare con quel che resta di quel dittatore da operetta di Gheddafi, che usa ancora i pretesti del colonialismo italiano, che pure ha avuto torti gravissimi e ingiustificabili. Peccato che il regime di Gheddafi - come quelli di tutti gli altri dittatori dei Paesi detti un tempo in via di sviluppo - sia evidentemente compartecipe di un sistema, visto che i convogli dei viaggi di clandestini partono dai porti del suo Paese, di questa moderna versione della tratta degli schiavi. Se tutto parte dal colonialismo, oggi le vicende sono più complesse e riguardano decine e decine di Paesi del Terzo e del Quarto Mondo, dove un impasto terribile di mancanza di democrazia, povertà, ignoranza, malattie, degrado sociale, disastro economico, violazione dei diritti civili obbligano perseguitati e disperati all’unica luce in fondo al tunnel: l’Occidente. Questa è la realtà con cui confrontarsi e ogni tentativo di banalizzazione risulterebbe inutile, perché la matassa è talmente aggrovigliata da chiedersi chi e quando potrà trovare modo di dipanarla. Nessun summit, nessuna conferenza internazionale, neppure il "G8" allargato sembra essere stato in grado di effettuare scelte importanti che raddrizzassero la situazione. Così, come una colonna di formiche, i poveri del mondo spingono alle nostre porte e noi ci troviamo in mezzo a due contraddizioni. Da una parte la cultura del diritto e dell’accoglienza e dall’altra la paura del diverso e limiti oggettivi ad un’apertura: il tutto condito da visioni ideologiche e da scontri politici, mentre la situazione allo stato è destinata a peggiorare.