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01 lug 2009

Mio papà

di Luciano Caveri

Mio papà era un uomo che, per ragioni anagrafiche (era nato nel 1923), aveva attraversato - da un po' prima della sua metà - i grandi avvenimenti del Novecento. Come tutta la sua generazione, si era trovato a vivere in un secolo breve per gli avvenimenti sincopati che lo hanno riempito e anche per l'accelerazione scientifica e tecnologica, di evoluzione della società e dei costumi, dei cambiamenti nell'economia che si sono affastellati con una corsa mai vista prima e che ha lasciato tutti i protagonisti, grandi o piccoli che fossero, con il fiato corto e con un certo smarrimento per un mondo profondamente mutato nel volgere di poco tempo. La sua formazione di bambino e di ragazzo - penultimo di ben otto figli - culminò con gli anni ruggenti del fascismo, ma l'antidoto alla logica dei balilla e dei "Guf" (Gruppi universitari fascisti) era presente nell'ambiente familiare e nel milieu culturale di casa Caveri, dove si respirava l'antifascismo e una formazione liberale che veniva da nonno René e una educazione cattolica da nonna Clémentine. Basta guardare i libri della biblioteca di famiglia per vedere come, nella stratificazione degli intrecci parentali, l'imprinting culturale derivante dalle letture fosse vasto e articolato nelle diverse discipline umanistiche e scientifiche. Tutto ciò, accanto al cosmopolitismo ben presente, era improntato alla più profonda adesione alla valdostanità: il francese era la lingua di casa e le amicizie espressione di quel gotha della bourgoisie aostana e del clero locale, fiammella minoritaria di una resistenza (i fratelli Severino ed Antonio furono fondatori della "Jeune Vallée d'Aoste") sfociata poi in Resistenza. Sandrino - chiamato con un diminutivo per la piccola taglia, che celava in realtà una tempra di sportivo ben espressa in competizioni sciistiche di alto livello - viene imbevuto di questo spirito democratico e così accompagnò giovanissimo gli ebrei in Svizzera attraverso la conca di By, guadagnandosi - per il suo coraggio - un attestato della comunità ebraica di Torino.

Il caso, dopo l'8 settembre del 1943, lo scaraventerà - con altri militari valdostani - nei campi di concentramento nazisti, restando per alcuni mesi nel campo di Auschwitz (in territorio polacco occupato dalla Germania). Questa lunga esperienza di prigionia e essere spettatore e vittima di tanti orrori lo segna ad appena vent'anni, dando al suo carattere gioviale e scherzoso quella vena di angoscia che i suoi intimi conoscevano, impastata con quella impronta di operosità e di etica del lavoro trasmessagli dai genitori. La Liberazione e il dopoguerra con le sue attese lo colgono con due note salienti. La prima è la scelta professionale: al ritorno - scettico, con buone ragioni, sulla bontà del diritto - abbandona giurisprudenza e sceglie veterinaria. Una scelta che lo porterà a contatto stretto con il mondo contadino con cui si immedesimerà pienamente, mettendo entusiasmo, energia e passione. Mai un orario, massima disponibilità e un ruolo di amico-confidente - passando con destrezza all'uso di diversi patois - riconosciuto con affetto da tutti coloro che hanno trovato in mio padre una parola di conforto, un consiglio, una barzelletta, una battuta fulminante. La seconda caratteristica formativa aveva caratteristiche politiche, direi di appoggio e consiglio alla grande personalità del fratello Severino, quasi un padre per lui, anche in considerazione del fatto che il papà era molto anziano, essendo nato nel 1867. Ma il fratello più vecchio ascoltava il consiglio del più giovane che sapeva cogliere la voce e gli umori della Valle d'Aosta più profonda. Militante sin dall'inizio dell'UV, Sandro ritrovava nell'amore per la Valle le ragioni di un impegno che aveva scelto di trasmettere ai suoi figli, dando loro quei rudimenti che erano necessari per capire il mondo nel segno di una morale forte e determinata. Ormai ottuagenario, colpito da mille acciacchi e forse dalla solitudine di chi, dopo una vita di corsa, si è trovato nell'ultimo tratto di strada con giornate lunghe e ripetitive senza avere più tanti familiari e amici "andati avanti", come si dice in gergo alpino, e che gli mancavano.

Sandro - un montanaro colto ma sempre semplice con i semplici - ha lottato per stare con noi, sino alla capitolazione finale di una lunga vita spesa bene e di un esempio di forza d'animo, di "schiena dritta", di serietà della parola data che sono e saranno un insegnamento.