Epilogo con riflessione

alfano_sonia.jpgNessun valdostano, per ora, andrà al Parlamento europeo.
Questo in soldoni l'epilogo della vicenda. Certo è che il partito degli astensionisti - ovvio calembour - si dovesse in qualche modo organizzare anche in Valle non ce ne sarebbe per nessuno. Credo che questo sia un dato che deve far riflettere, mentre i partiti - la cui crisi di rappresentanza è palese, così come la moral suasion delle istituzioni - si scannano per accaparrarsi i votanti (meno di uno su due) e stressano i pochi militanti nei comizi dove si ripetono parole d'ordine - una, nessuna e centomila... - che sono eco remoto (e neppure mediatizzato per una par condicio grottesca) per la larga maggioranza della popolazione scocciata, stufa, disamorata per un insieme composito di ragioni.
Sarebbe bene riflettere sulle risposte da dare.

Commenti

Sarebbe ora...

che la politica ritornasse ad occupare il posto che di diritto s'è conquistata senza invadere ogni campo.
Per quel che riguarda il Parlamento europeo, molti non sanno neanche cosa si fa in quel luogo ed a cosa serva mandare altri strapagati (i soliti) personaggi a Strasburgo.
Specie in periodo di vacche magre la gente comune non ne può più di vedere certe sconcezze a spese loro. Questo è quello che si sente nei chiacchiericci da bar o da ufficio per cui bisogna riflettere, secondo me , su quel che si promette e poi non si mantiene in campagna elettorale perché la gente è veramente stufa di farsi menare per il naso.

La Norimberga dei poveri

Non è tanto la sindrome dell'"happy end", per cui tutti trovano un valido motivo per dichiarare di aver vinto, a rendere caricaturistico il dopo "Europee" in Valle d’Aosta. Molto più triste è infatti la tendenza, scattata un secondo dopo la conclusione dello spoglio in chi ha perso, a individuare ad ogni costo un responsabile, o una causa, della sconfitta. I motivi presi a prestito in questo caso rendono Elio e le Storie Tese degli impotenti dilettanti della fandonia. In effetti, a leggere le interviste di questi giorni ai papà della coalizione "Vallée d'Aoste", sovviene all’istante l'impagabile «no, non ho voglia di uscire... no, poi ci ho il gomito che fa contatto col piede» di una delle canzoni del gruppo meneghino.

Eh sì, a seconda dell'intervistatore, o del bar frequentato nei dintorni di Palazzo regionale, il flop dell'asse Centro autonomista - PdL è colpa del cognome del candidato (troppo lungo), del PD in Giunta al Comune di Aosta, di quei pelandroni dei Sindaci della Stella Alpina, della cellula Union-Alqaedista di Jovençan, dei disinformati generici che non hanno attribuito la preferenza, ma solo il voto di lista, e di qualunque cosa vi venga in mente tra il buco dell'ozono, gli Ogm e la mancata riproduzione in cattività di pesci di specie tropicale. Non si può escludere che alcune di queste ragioni abbiano effettivamente cubato sull'uppercut piazzato dall'elettorato sul muso della lista che candidava Aurelio Marguerettaz, ma il punto è che quella perpetrata a mezzo stampa in questi giorni non è una ricerca seria delle cause di quanto accaduto, ma un matto bisogno di alibi.

Alibi che ad un gruppo dirigente, o a parte di esso, sono funzionali - non è inverosimile ritenerlo - al mantenimento di uno status. La grandezza e la dignità di un'organizzazione, in questo caso di un movimento politico, non si misurano però quando si naviga in acque calme. In quel momento, il vento è in poppa e la barca va avanti praticamente da sola. La capitalizzazione dei successi è massima e non è problematico governare il consenso, perché ve n'è in quantità industriale. E' quando il cammino si fa salita, che si capisce se colui che apre la marcia ha buone gambe, perché vi è da fare i conti con meno fiato a disposizione nell'intero plotone. E' dalle reazioni nel momento critico che si mette alla prova la solidità di quanto si è costruito. L'esito delle ultime elezioni sarebbe stata un'ottima occasione per affermare, con l'umiltà del pianeta: «abbiamo fatto una scelta che la comunità ha mostrato di non gradire, ne prendiamo atto e d'ora in poi lavoreremo per trarre il meglio da questa lezione». Sarebbe stata una risposta all'altezza di sessant'anni di storia di un movimento come l'Union Valdôtaine, punto di riferimento indiscutibile per la comunità valdostana.

Così non è stato. E' andato in onda il festival delle responsabilità altrui, ma non solo. Ci si è voluti, in alcuni casi, piazzare su un piano ancora più squalificante, spingendosi ai confini dell'insulto nei confronti di altri partecipanti alla tenzone elettorale, in particolare a quello che deve solo all'estraneità della riconoscenza in politica (e fa specie che chi si sciacqua la bocca con i valori, come Di Pietro, si sia spinto a fingere che il secondo resto nel nord-ovest non sia dovuto ai resti portati in dote dal "Galletto") l'aver mancato il seggio a Strasburgo. Ciò è grave, ma anche politicamente ingenuo, poiché palesa l'avvenuta metastasi di ciò che, all'ultimo congresso unionista, Luciano Caveri, l'unico valdostano che sinora in Europa ci è andato sul serio, aveva individuato come un rischio, vale a dire quello, per il "Mouvement", di essere un «gigante dai piedi d'argilla». Sì, perché se qualsiasi cosa accada è colpa d'altri, se l'alleanza con il PdL «non è stata capita, ma è valida» (seppur i numeri dicano altro), se tutto deve continuare così come deciso «colà dove si puote ciò che si vuole», allora cosa ci stanno ancora a fare aderenti ed elettori?
Qual è il contributo che, dalla "base", può essere concretamente offerto ad un meccanismo del genere? Qual è la sensazione che può vivere chi, da semplice militante o anche da attivista, si trova a confrontarsi con una situazione di questo tipo? Soprattutto, qual è la capacità di risposta alle esigenze dei valdostani che il Movimento può sviluppare, avendo abbracciato logiche interne del genere?

Chi scrive, oggi, non sta a Roberto Louvin come Romeo a Giulietta. Tuttavia, in passato e in seno all'UV, si è fatto un punto d'orgoglio della sua amicizia e dell'aver condotto, assieme a lui, battaglie elettorali sotto il segno dell'idealismo. Esperienze che lo portano a dire che se Louvin non ha giocato la più onesta delle mani nell'abbandonare il "movimento", se non è esattamente indifferente alla sua immagine riflessa nello stagno (basti pensare che, se fosse volato in Europa, gli sarebbe riuscito un numero in stile Mourinho al Chelsea, con tre assemblee elettive scalate in meno di una legislatura, dal Consiglio comunale aostano all'Europarlamento, passando per Place Deffeyes) e se il suo oggi politico ricorda tanto un incantatore di serpenti lungo le strade di Mumbai, possiede comunque qualità di scaltrezza e intuizione e capacità di coinvolgere le persone con cui viene a contatto. Virtù da non sottovalutare, perché i valdostani non hanno pietà per chi ha "tradito", ma se costui inizia ad offrire loro, per quanto fatue e posticce, le risposte e gli stati d’animo latitanti dal punto di riferimento storico (poiché troppo impegnato in una inutile "conta" endogena), allora la musica potrebbe anche cambiare. L'odio potrebbe diventare "solo" antipatia e, su quest'ultima, nel segreto della cabina elettorale, rendere il piacere a chi eroga silenzio, anziché soddisfazione delle aspettative, ci può pure stare.

Il 6 e 7 giugno scorsi, questo è accaduto. Segnali premonitori ce n'erano. Non li si è voluti cogliere? Ci si è incrodati ad un'alleanza che, in tutta onestà, è come se Ratzinger andasse a cena (e poi, perché no, a ballare) con Ilona Staller, noncuranti di un dissenso interno dalle proporzioni mica risibili (anche per la caratura di alcuni tra coloro che l'hanno manifestato) e scartando sostanzialmente a priori l'ipotesi leghista (che, a conti fatti, avrebbe portato il seggio)? Si è fatto praticamente finta di niente di fronte alle ripetute "birichinate" dei nuovi compagni di strada (dai comizi di candidati della lista "madre" del PdL, vedi Iva Zanicchi, al tappezzamento degli spazi elettorali con i manifesti "Vota Berlusconi e La Russa")? Si è mancato l'obiettivo, nonostante l'entità storica di un consenso all'esterno della Valle mai ottenuto in precedenza? Va bene, ma siccome tutto ciò è invisibile quanto le cascate del Niagara, almeno si abbiano l'onestà intellettuale e la coerenza di fare mea culpa, senza imbastire una Norimberga dei poveri, votata al risultato unico di far aumentare frustrazione e rabbia in chi, pur nutrendo perplessità iniziali (tutt'altro che fuori luogo, col senno di poi), si è comunque speso per una campagna elettorale in cui, inoltre, si è voluto evitare, ancora una volta, di studiare formule nuove, a favore di riti ormai vuoti e ripetitivi quali i comizi, portatori di nuovi consensi quanto i Rolling Stones sono alfieri di un suono innovativo sulla scena musicale.

Dopodiché, se per motivi difficili da cogliere ad occhio nudo, ma che potrebbero tranquillamente essere insiti nella natura di una forza politica di governo, che esprime diciassette consiglieri regionali, tutto ciò rientrasse nella categoria "mali necessari", si abbia almeno il buon senso di evitare di dare, pur se animati da una rabbia comprensibile (ma da veicolare verso scelte scellerate, non altrove), del "mena arrosti" ad un avversario, o di considerare il suo viaggio verso Strasburgo un modo efficace per «toglierselo dai c…». Non uno sfidante a caso, oltretutto, ma quello che, pur senza sventolare per tutta la campagna elettorale come l'operazione apparentamento fosse quella foriera delle maggiori chances per una forza politica a dimensione regionale, ha rischiato di varcare la porta principale del Parlamento Europeo con una miseria come novemila preferenze individuali. Lo si eviti quindi, un po' perché un valdostano a Strasburgo, anche se non di "Vallée d'Aoste", avrebbe comunque espresso, per la tradizione d'autogoverno propria della nostra regione, uno spessore indubbiamente superiore a quello, per fare un esempio a caso, dell’aquila di Ligonchio, un po' perché è un errore che si rischia di pagare caro, anche in prospettiva dei prossimi appuntamenti elettorali. I ranghi del "Galletto" hanno tratto sicuramente entusiasmo e linfa vitale dallo score ottenuto ed opporre prepotenza a un risultato che, volenti o nolenti, c'è stato non farà che corroborare ancor di più i militanti arancioni, favorendo plausibilmente ulteriori "salti del fossato" dalle fila unioniste. D'altro canto, è quantomeno singolare come, nell'ottica odierna di Roberto Louvin, se una decisione in chiave nepotista viene assunta all'UV allora è tale, mentre se proviene dall'IdV (perché è spiacevole dirlo, ma il salvataggio dell’eletto sardo ha tanto questi connotati) allora va registrata nel faldone "comportamenti corretti", ma questo va approfondito a parte.

Tornando a monte, comunque, a questo punto si abbia anche il coraggio (virtù che in politica, oggi come mai prima si rivelerebbe pagante) di dire che quest'alleanza è un progetto esaurito dai risultati che (non) ha dato, di sedersi attorno ad un tavolo, coinvolgendo sezioni e iscritti (che, dal canto loro, devono trovare voglia e coraggio di prendere la parola un po' più sovente nelle riunioni degli organi del Movimento), e di ripartire da lì, con la capacità e la voglia di ascoltare che la situazione e il ruolo dell'UV impongono. Chi scrive, memore proprio di un insegnamento ricevuto in gioventù da Roberto Louvin, secondo cui «le vere battaglie di cambiamento si fanno dall'interno, non da fuori», è rimasto nell'Union Valdôtaine e, tanto per sgombrare il campo da ogni dubbio, anche a seguito di queste righe particolarmente accese, se ne andrà da questa terra senza mai voltare la gabbana al Leone Rampante. Però, il corso imboccato dal Mouvement oggi palesa troppo sovente i tratti sinistri del gesto compiuto da un ingegnere sovietico in un vecchio documentario Rai su "Krasnoyarsk 26", cittadina fantasma dell'URSS, poiché praticamente gigante laboratorio nucleare che non stava bene segnalare sulle cartine. Per testimoniare ai giornalisti dell'ovest infedele l'ineccepibile livello d'avanguardia dell'impianto, il tecnico bevve, dinanzi alle telecamere, un bicchiere di acqua del circuito di raffreddamento del reattore. Una spavalderia fine a se stessa, inutile e dannosa. E non c'entra niente tradire, o meno, la propria storia. Il punto è averne ancora una avanti a sé.

Scrivere...

ed esprimersi vuol dire esporsi e so che non è mai facile farlo.
Ma il silenzio non è sempre d'oro, quindi mi auguro che altri si vogliano esprimere su di un tema che considero decisivo. Il conformismo è pericoloso, specie perché è un comportamento automatico che nasconde, nella gran parte dei casi, il reale fermento.

Volentieri...

Il risultato della lista Vallée d'Aoste è assai negativo, anche perché, se vogliamo proprio dircela tutta, non solo l'elettorato unionista ha stroncato in partenza l'accordo, l'apparentamento con il PdL, ma chiede di rivedere anche e sopratutto l'alleanza attuale al governo della Regione.
Sta al gruppo dirigente unionista analizzare a mente lucida i messaggi che l'elettorato manda e darne - se possibile - la giusta interpretazione non limitandosi al solito "giro di telefonate" quando mancano due, una settimana al voto e poi: «non ti preoccupare che adesso ci pensiamo noi...»
Roberto Louvin ha tutte le carte in regola per rappresentare la Valle d'Aosta tutta a Bruxelles-Strasburgo e questo non lo pensano solamente i "traditori" dell'UV o quelli che ingiustamente vengono messi in un angolo perché "pensano troppo"...

Reazioni ufficiali

Qui il commento del Sindaco di Aosta, Guido Grimod, espresso durante la conferenza stampa della Giunta di stamane.

Vorrei esprimere...

il mio parere. All'epoca dell'apparentamento, durante una riunione plenaria in sezione UV a Donnas, ho espresso la mia posizione. In modo un po' più prolisso, qui sintetizzo, ho detto che non scendevo dal treno perché ritenevo che il direttivo UV non fosse impazzito del tutto, che un eurodeputato serviva (meglio se di "Vallée D'Aoste"), con il famoso naso turato, avrei votato il candidato, anche se mi pesava tanto.
Ho anche espresso la mia preoccupazione per il prezzo politico che si sarebbe pagato per questo patto-apparentamento ("patto" lo aveva definito Sandro Bondi). Ieri leggevo che siamo considerati la 17esima regione PdL. Questo mi sembra davvero troppo.

Il risultato finale è da ascrivere a questi aspetti:
1. la scelta del partner poco "digeribile";
2. la centralità dei discorsi per dare credito al partner "giusto";
3. la lontananza dell'Europa da noi cittadini. L'Europa non sono solo fondi erogati all'agricoltura o all'urbanistica;
4. c'era anche Aurelio Marguerettaz, il candidato.

L'UV deve pesare bene queste scelte fatte e non sprecare il tesoretto di voti delle regionali. Sì, vero, altra storia, ma la storia dell'elettorato si scrive nelle urne.

Un po' di "fantapolitica" per riflettere...

Il risultato per la Valle d'Aosta è negativo.
Tutte le forze autonomiste hanno dichiarato che era molto importante avere un candidato valdostano in Europa ma nessuno si è adoperato per questo, ha vinto la divisione hanno perso i candidati autonomisti.
Se veramente le forze autonomiste (Union, Fédération, Stella Alpina, VdA Vive, Renouveau) avessero voluto un eletto avrebbero dovuto dialogare e cercare un candidato condiviso da tutti gli schieramenti e sommando i voti di Marguerettaz e Louvin avremmo un parlamentare europeo.
Gli amici quando faccio questa affermazione ribattono dicendo che è pura fantapolitica. Non lo credo dal momento che i due candidati fino a tre anni fa facevano parte dello stesso movimento e per anni hanno condiviso molte esperienze: con un piccolo sforzo da entrambe le parti se il vero obiettivo fosse stato avere un candidato in Europa si sarebbe potuto fare un sacrificio e i valdostani indubbiamente avrebbero risposto positivamente.

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