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07 mar 2021

Se la Politica diventa spettacolo

di Luciano Caveri

La Politica non è fatta da "verginelle" o da "mangiaostie" e chi ci ha vissuto, come il sottoscritto, mantenendo schiena dritta nel solco dell'onestà, ha visto cose incredibili e non si finisce più di vedere delle varianti. Il mio apprendistato è avvenuto nella vituperata prima Repubblica, che nessuno difende per le evidenti storture, ma esisteva anche una parte di personale politico corretto e competente, che è giusto rimpiangere in quest'epoca di decadenza della professionalità anche in politica. Chissà che non si inverta un processo contro certo nuovismo, dimostratosi zeppo di dilettanti e di incapaci. Certo, eletti dal popolo e dunque certe carriere non sono solo da ascrivere agli interessati, ma agli elettori che li hanno innalzati laddove non avevano merito di stare. Questo si riverbera sull'intero sistema politico ed attacca certe fondamenta del sistema democratico, che si regge sulle norme ed anche sulle spalle di chi occupa pro tempore punti chiave.

L'argomento è trito e ritrito. Tuttavia ogni volta ci si incappa e questa storia della "democrazia digitale" emerge e si staglia con i suoi pro e i suoi contro. Prendiamo un primo caso, a cavallo fra passato e presente. Mi riferisco alla trasmissione in diretta delle sedute parlamentari. Ciò avviene da molti anni in tutte le democrazie come segno di trasparenza: il Palazzo non deve avere luoghi oscuri, perché la luce della pubblicità rende tutto visibile. Benissimo: il punto successivi è stata la richiesta dei "grillini", moda che poi hanno dismesso una volta al potere, di chiedere lo "streaming" per qualunque tipo di incontro sempre in nome della massima diffusione come antidoto contro vecchi riti di accordi segreti. Ora che si dica una volta per tutte che - lo vediamo anche dal Consiglio Valle, piccolo parlamentino valdostano - che chi parla, sapendo di finire su degli schermi, non lo fa più nella tradizionale logica del parlare e discutere in un'aula, vivendo invece l'assillo di parlare ad un pubblico da acchiappare e questo snatura il vecchio senso dell'interlocuzione politica. Tutto diventa un comizio in favore di telecamera in un eterno rincorrersi in logica elettoralistica. Ciò avviene anche, cambiando lo scenario, nel rapporto con la stampa. Un tempo esisteva un'alea di riservatezza su certi documenti riservati. Capita oggi - e lo vedo nel mio ruolo di assessore - come certe carte finiscano subito, trasformate in file, nelle caselle elettroniche dei giornalisti, che diventano strumenti non solo diffusione, ma si piegano indirettamente all'uso strumentale delle guerricciole interne alle maggioranze di governo. Anche in questo caso si creano confusioni e traffici, che finiscono per nuocere alla democrazia nel nome di confuse regole di apparente trasparenza di fatto trasformata in opacità. La logica dell'agorà, sede di dialogo e di scontro con regole statuite, finisce per essere travolto da un brusio che copre tutto e rende tutto lattiginoso e si ottiene, nel nome della nettezza, l'esatto opposto. Sarò brontolone e dépassé ma trovo tutto ciò disdicevole e non nel nome di chissà quale moralismo, ma del fatto semplicismo che ci vogliono momenti di elaborazione e di confronto che abbiamo spazi riservati e non coram populo. Non per cucinare chissà quali schifezze, ma semplicemente per trovare sintesi, per dirsi cose senza dover fare propaganda, per conoscersi e, se il caso, per lavarsi il muso.