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26 ott 2020

Un ritorno

di Luciano Caveri

Oggi è una data interessante per la mia vita e qui l'annoto senza troppi giri di parole con un'azione verità e più passa il tempo e più dire le cose come stanno mi appartiene. Come si dice: pane al pane e vino al vino. Ricordo di aver passato gli ultimi sette anni senza aver alcun ruolo elettivo. Un periodo sabbatico, in cui sono tornato al mio lavoro in "Rai" perché bisogna sempre avere un lavoro cui tornare perché è una forza. Ho vissuto senza ansie o problemi, dopo ventisei anni di cariche ottenute fra Roma, Bruxelles ed Aosta. Bella esperienza davvero fra Camera, persino con un passaggio al Governo, poi il Parlamento europeo, anche presidente di Commissione, ma anche al "Consiglio d'Europa" con un bel ruolo e idem al "Comitato delle Regioni" ed in Valle D'Aosta assessore e pure presidente della Regione. Sempre fiero di esserlo e, immodestamente, ben considerato perché ho sempre lavorato duro, ma sorridendo. Poi ovviamente ho i miei difetti, alcuni di cui vado persino fiero ed altri no.

Quando venni eletto la prima volta nel 1987 avevo ben in mente l'idea che essere eletti può essere una parentesi fugace ed ero sereno, sapendo di avere alle spalle il mio lavoro di giornalista. E con la consapevolezza che si può fare politica anche fuori dalle Istituzioni. Oggi torno in Consiglio Valle e lo faccio con gioia, dopo undici anni dall'ultima volta in cui mi candidai e sono lieto, se non ci saranno problemi, di avere un ruolo in Giunta. Sono fiero di essere stato definito «dinosauro» a poco più di sessant'anni, come se l'esperienza fosse fuffa. Ho avuto la fois di essere eletto a ventotto anni e certo allora avevo più energie, un'inventiva spiccata ed una grande curiosità, ora so più cose, sono un pizzico più saggio e meno irruente. Un diverso me, che sono sempre io, come da stagioni della vita. Ma non sono da buttare via per questo ed ho il diritto di dire la mia e lo rivendico contro certo "nuovismo" di cartapesta. La Politica funziona come molte cose. Non è una scienza esatta, ci sono molte regole non scritte, bisogna studiare e capire ed è fondamentale che esista una staffetta fra generazioni e poi ognuno ci aggiunge del suo, plasmato sul presente. Ma senza radici niente pianta. Ecco perché mi è piaciuto piantare un seme a vent'anni e vederlo svilupparsi a trent'anni, crescere a quaranta, vivere a pieno a cinquanta ed ora farsi solido a sessanta. Devo rispondere a qualcuno di questo? Vergognarmi dei miei capelli che si imbiancano? Mi preoccupa passare dal più giovane che fui in molte Assemblee ad essere fra i più vecchi? Non vedo perché dovrei essere complessato. Vivo e lascio vivere, ma non accetto di sentirmi un ferrovecchio, perché non lo sono e neppure mi sento tale. Credo che i tempi che stiamo vivendo obblighino al senso di responsabilità. L'altro giorno, in occasione della Comunione di mio figlio più piccolo, mi sono immaginato se un anno fa - ripeto, un anno fa - avessi sognato le scene che vivevo davvero. Entrata scaglionata, mascherina in faccia, mani disinfettate, quattro per famiglia distanziati, nessun saluto vero con persone amiche e persino un numero contingentato al pranzo festoso. Ma soprattutto il sospetto verso l'altro, il colpo di tosse guardato con timore, il marciapiede con frecce per andare e venire, i racconti delle zone rosse e dei loro problemi, il virus che torna nei discorsi, la minaccia del confinamento. Una crisi umana e sociale che cambia le nostre vite e obbliga la Politica a reagire, confidando nella scienza, con misure eccezionali. L'assenza di consiglieri regionali alla seduta inaugurale per via del Coronavirus, collegati in un remoto che svuota una parte dell'aula, è un'immagine plastica della cita inquietante che viviamo in questa storia personale che diventa collettiva e obbliga tutti a riflettere su rischi e doveri. Passerà, ed intanto ci siamo dentro ed ognuno deve fare la sua parte.