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13 apr 2020

Giusto un mese fa...

di Luciano Caveri

Cominciamo con un sorriso, che non dovrebbe mai mancare. Il conto alla rovescia verso Pasqua è ormai avviatissimo e mi viene appunto da scherzare sul celebre motto: "Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi". Mai come ora questo modo di dire suona come fasullo, ma devo dire che da anni mi chiedevo come mai una mia vicina di casa tenesse sulla finestra alcune decorazioni luminose intermittenti a carattere natalizio per mesi e mesi dopo la festività. Ora risulta del tutto evidente quanto, invece, fosse preveggente... Ma torniamo seri. Ho cominciato a scavare nel "coronavirus" e negli annessi e connessi per una mia trasmissione radio a carattere eccezionale, esattamente il 25 febbraio, ma che dura purtroppo ancora oggi, ed avevo capito, stravolgendo il palinsesto, che un appuntamento settimanale sarebbe servito per seguire in modo pacato l'evoluzione dell'epidemia (poi pandemia).

Ed è quanto ho fatto e sto facendo, cercando di informare in modo equilibrato e tenendomi distante da polemiche politiche, pur condividendone in pieno alcune. Ma su questo, in particolare sulle responsabilità degli sbagli e delle inefficienze, ci sarà tempo al tempo, perché in epoca di emergenza conta, ma senza fare sconti rispetto al diritto di critica, avere un'unitarietà, che si raggiunge però sui fatti concreti e non sulla mozione degli affetti e stringendosi al bandierone. Quel che è certo è che questa storia delle epidemie è stata sottostimata da tutti, a diverso grado di colpe e pensare che quanto avveniva in Cina doveva spingere ad aspetti preventivi che sono del tutto mancati, come è stato per materiale sanitario di vario genere, oggi difficile da reperire sul mercato e le mascherine sono solo la punta dell'iceberg. Sono curioso, quando usciremo dalla crisi, di andarmi a leggere i contenuti del "Piano generale di gestione delle crisi epidemiche" predisposto dalla Protezione civile valdostana per vedere lo scarto esistente fra quanto pianificato e quanto poi si è verificato, inseguendo gli eventi. Resta la generale impressione - e mi fermo qui - di una generale debolezza a Palazzo regionale di chi deve decidere ed anche questo servirà agli elettori per capire chi votare dopo l'estate. Un mese fa esattamente - ed è bene ricordarlo - eravamo al culmine di quel famoso e famigerato finesettimana in cui la Valle d'Aosta, dopo la decisione governativa di chiudere le scuole, venne invasa da turisti piemontesi e lombardi, alcuni dei quali provenienti da zone già colpite gravemente dal contagio. Nessuna barriera venne posta a questi arrivi, anzi nei giorni precedenti Autorità regionali e locali spinsero per un arrivo dei turisti, segnalando come la Valle fosse immune dal "coronavirus". Ricordo in particolare che presidente della Regione Renzo Testolin aveva ribadito che la Valle d'Aosta è «assolutamente sicura per venire a trascorrere un soggiorno in montagna». Scelta - anche se lo dico con "il senno di poi" e so che è più facile - sciagurata, frutto di chissà quale illusione. Anche io mi ritrovai, per portare mio figlio agli allenamenti di sci, sulle piste di Torgnon e passai una giornata con un vago senso di angoscia per le code agli impianti e decisi persino di non entrare in un bar per la bolgia che trovai all'ingresso, e ragionai appunto sui rischi che si potevano correre. Ed è quanto ha fatto un autorevole medico trentino in un articolo scovato e pubblicato da aostapresse.it, che così presenta l'autore: "Giuseppe Parolari, medico chirurgo, già dirigente dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento e consigliere della Provincia autonoma di Trento e della Regione Trentino-Alto Adige, analizza la portata dell'epidemia da “covid-19” dell'ultimo fine settimana di febbraio, da venerdì 28 a domenica 1° marzo”. Parolari, aggiungo solo, è esponente politico della Sinistra democratica e riformista. Ha scritto Parolari su di un quotidiano trentino: «Mentre i medici lombardi chiedevano di chiudere tutto e subito, spaventati dai casi di “covid-19” che già affollavano le terapie intensive nel weekend dell'8 marzo accadevano cose inspiegabili: a Milano aperitivi in piazza e centri commerciali aperti, in Valle d'Aosta biblioteche chiuse ma impianti sciistici aperti, in Trentino una folla di sciatori invitati a venire sulle piste da sci, provenienti da Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, le regioni più colpite dal virus. Proprio quella sera stessa il presidente del Consiglio approvò d'urgenza il decreto di isolamento di Milano e di 14 province del Nord, seguite poco dopo dall'Italia intera». «Ci si chiede ora quale ruolo possa aver avuto quel weekend sull'epidemia, qui da noi - prosegue - una risposta la possiamo ottenere dal grafico che riporta l'evoluzione nelle varie regioni e province autonome nel nord da quel momento in poi, utilizzando dati standardizzati, rapportati ai 100mila abitanti, resi confrontabili quindi per tutte le realtà considerate, dalla Valle d'Aosta con i suoi 125mila abitanti fino alla Lombardia che ne ha 10 milioni, passando per il Trentino. Come si può vedere, sia la Lombardia (linea arancio) che l'Emilia-Romagna (linea grigia) avevano già iniziato il loro difficile percorso in salita il 9 marzo, quando in Lombardia c'erano più di cinquemila casi di “coronavirus”, 50 ogni 100mila abitanti; in Emilia 1.400 casi, più di 30 ogni 100mila abitanti; un percorso che poi hanno continuato in modo regolare, staccate dalle altre». «Diversamente da Lombardia ed Emilia - analizza Giuseppe Parolari - le altre regioni e province autonome del Nord Italia si muovevano compatte con numeri abbastanza contenuti, dai 6 casi ogni 100mila abitanti del Trentino ai 15 del Veneto (che stava risolvendo i suoi problemi a Vo Euganeo). E ciò per tutta la settimana successiva: è da domenica 15 marzo che le curve del Trentino (linea rossa) e della Valle d'Aosta (linea verde) si staccano dalle altre e puntano in alto, fino ad arrivare a superare entrambe l'Emilia-Romagna e un delle due, cioè la Valle d'Aosta, anche la Lombardia. Seguite pochi giorni dopo dall'Alto Adige (linea gialla), con forza però nettamente inferiore. E' come se il “coronavirus”, portato quel weekend sulle piste da sci, una volta superato il periodo di incubazione avesse cominciato a manifestarsi prepotentemente». «A farne le spese più di tutti è stata la Valle d'Aosta - evidenzia il medico nell'articolo - dove, proprio perché piccola, la presenza di turisti era diffusa su tutto il territorio; lassù, quel weekend, c'era mezza Milano. Il Trentino, stracolmo di turisti, ne ha risentito un po' meno (non in numeri assoluti, però) per il fatto che le aree sciistiche qui interessano una porzione più limitata di territorio. In quei giorni però sulle nostre piste da sci c'erano anche tanti trentini che la sera sono poi tornati alle loro case. L'Alto Agide è riuscito a mantenersi a livelli più bassi, forse grazie al fatto che la Provincia di Bolzano aveva emanato per quel weekend, norme di contingentamento». Vi è infine un'analisi, che è già datata di qualche giorno, sulle conseguenze evidente di quella “invasione” di turisti. Resta certo l'elemento singolare si località sciistiche non colpite o poco colpite dal virus, ma è vero che in certi casi le persone colpite abitavano altrove. Ora a Pasqua bisogna evitare che i turisti raggiungano le proprie seconde case per una villeggiatura che rischia di appesantire la situazione in Valle e non a caso alcuni Sindaci di località turistiche hanno chiesto efficaci posti di blocco e penso che - come già si è visto in queste ore con un grande posto di blocco all'ingresso di Aosta - il rafforzamento dei dispositivi delle Forze dell'ordine dovrebbe evitare questo rischio.