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10 mar 2020

"Coronavirus" tra privacy e necessità di sapere

di Luciano Caveri

Gira che ti rigira l'attualità del "coronavirus" incalza e che sia il problema vitale che ci frulla sempre in testa lo si vede ogni giorno, specie ora che il virus è arrivato in Valle d'Aosta o meglio è stato infine rinvenuto ed a fronte di crescenti misure importanti che cambiano la nostra vita quotidiana. Capita perciò di trovarsi a ragionare su diversi aspetti e oggi ne vorrei annotare uno, che parte da un lontano passato da evocare non per un parallelo impossibile, ma per certi aspetti- come dire? - psicologici e anche pratici. La peste del 1630 uccise in Valle d'Aosta almeno cinquantamila persone e forse è una cifra per difetto. La cronaca più drammatica dei fatti accaduti nell'occasione di questa epidemia a Milano ce l'ha data nei "Promessi Sposi" - libro obbligatorio nel curriculum scolastico - Alessandro Manzoni, che descrive in modo magistrale la paura per il contagio e le molte dicerie che si diffondevano nella popolazione. Il fatto più noto, tanto da diventare proverbiale, è quello che ci fossero persone che spargevano appositamente unguenti venefici per propagare la peste.

Si tratta dei famosi "untori", la cui attività di propagazione del morbo non era non solo frutto dalla superstizione e dall'ignoranza popolare, ma trovava conferma anche nelle teorie di alcune personalità del tempo, compresi medici e pure probabilmente il famoso Cardinale Borromeo. Manzoni cita un dispaccio proveniente dalla Spagna e firmato da re Filippo IV in persona che, tempo prima, informava il governatore che quattro spie francesi, sospettate di mettere in atto tale pratica, erano fuggite da Madrid e potevano essere giunte a Milano. Il 17 maggio alcuni testimoni credettero di vedere persone che ungevano di strane sostanze un asse di legno, e benché il presidente della sanità avesse escluso la presenza di unguenti velenosi, quell'asse e altre suppellettili vennero portate fuori dalla chiesa e lavate accuratamente; il giorno seguente in molti punti della città si videro le mura e le porte imbrattate di certa sostanza giallognola, che suscitò vivo allarme nella popolazione nonostante si fosse accertato che essa non presentava rischi per la salute. Questo per dire, tanto per capirci, come non ci si debba stupire del fiorire, attraverso la Rete, di "bufale" di diverso spessore, basate sempre su invenzioni e malafede, che spesso prosperano di fronte a fatti gravi o ad autentiche emergenze e le epidemie spiccano come casi di scuola. La necessità di ricercare fil rouge che conduca all'origine dei focolai di infezione ha oggi una importante componente scientifica, che serve a capire da dove siano partite certe infezioni e il loro successivo propagarsi. Un dato essenziale in particolare riguarda l'individuazione dei contatti che le persone contagiose hanno avuto con altre persone e dove questo si è verificato per stroncare la diffusione e la gran parte delle misure di contenimento servono proprio per questo e cioè ad evitare il propagarsi del virus e evitare anche il rischio di picchi mostruosi che farebbero crollare il sistema sanitario. Da questo punto di vista sono molto incuriosito dal problema del rapporto fra la necessità di capire come si siano mosse le persone propagatrici della malattia e i doveri della privacy che tutelano persone malate rispetto al rischio di finire sul banco degli imputati degli stupidi, come se i malati fossero untori. E' un tema non astratto, pensando senza andare troppo lontano, ai casi registrati in Valle d'Aosta in piccole comunità dove nomi, cognomi ed indirizzi delle persone contagiate sono ben note, ma non resi noti dalle autorità e ripresi dai mezzi di informazione. Penso sia una questione seria: è giusta la tutela della riservatezza, ma conoscere i nomi dei portatori del virus consentirebbe a chi abbia in qualche modo avuto contatti a rischio contagio con loro di capire il rischio che corre di ammalatisi ed anche, a sua volta, se contagiato, di diffondere il virus. Certo conta la ricostruzione delle persone incontrate da ciascun malato, ma non credo basti. Non si tratta di avere liste di proscrizione o di messa all'indice ma di permettere di spezzare catene pericolose in un momento delicato. Viene in mente "La peste", libro di Albert Camus, romanzo che ha in questi giorni nuovi lettori, quando dice in un dialogo: «Bisogna sorvegliarsi senza tregua per non essere spinti, in un minuto di distrazione, a respirare sulla faccia d'un altro e a trasmettergli il contagio. Il microbo, è cosa naturale. Il resto, la salute, l'integrità, la purezza, se lei vuole, sono un effetto della volontà e d'una volontà che non si deve mai fermare».