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01 ott 2019

Non fiori ma opere di bene

di Luciano Caveri

Il funerale del ghiacciaio del Lys del Monte Rosa, ad imitazione di quanto avvenuto in Islanda con il ghiacciaio "Okjökull", ha un suo significato simbolico, segno evidente di quel riscaldamento globale che - a ritmo sostenuto - sta aumentando la temperatura sul Pianeta non più per dinamiche proprie alla Terra, ma per l'intervento umano che ha accelerato quelli che un tempo erano fenomeni naturali. Quanto avviene oggi sulle nostre montagne, con un focus particolare sul Monte Bianco per il rischio di crollo sulla famosa val Ferret, è fenomeno ben visibile da tempo anche nelle altre vallate e dunque ogni manifestazione che serve ad attirare l'attenzione sul fenomeno è positiva. Tuttavia - lo dico anche pensando al fatto che ieri gli studenti, compresi i valdostani, hanno fatto una manifestazione - vien da dire, di fronte agli stravolgimento in atto ed a questi funerali simulati che si moltiplicheranno giocoforza, «non fiori ma opere di bene».

Naturalmente per "opere di bene" intendo almeno due aspetti da segnalare. Il primo, senza farsi prendere da logiche integraliste da "fine del mondo" che servono ai soliti settari che finiscono solo per sfruttare l'occasione, riguarda le famose misure globali che non sto a ripetere per tirare il freno a mano su certi modelli di sviluppo che sono le cause e concause che hanno portato al famoso cambiamento climatico. Non si tratta di tornare alla candela ed al calesse, ma di infilarsi in un atteggiamento virtuoso che parte da ciascuno di noi e si dilata sino a scelte politiche sull'economia che non saranno per nulla indifferenti. Ma è vero che non si fanno ragionamenti in fretta e resta il fatto inconfutabile che la stessa umanità che rischia grosso. Il secondo riguarda più specificatamente le "opere di bene". Fra queste spicca una necessità per le Alpi da non prendere alla leggera. Il processo di riscaldamento accentua il fenomeno di degrado del territorio con il famoso scongelamento del "permafrost", che ha conseguenze a catena. Il fenomeno, anche se si assumessero decisioni draconiane in tutto il mondo, è comunque destinato, prima che la macchina in corsa si arresti, ad interessare ancora gli anni a venire. Già l'alluvione del 2000, che colpì gravemente la Valle d'Aosta, aveva segnalato - con un mappatura allarmante all'indomani degli eventi - quanti problemi di natura idrogeologica punteggiassero il nostro territorio. Ricordo che da deputato valdostano che teneva i contatti con Roma in quelle circostanze difficili con la necessità in particolare di un decreto legge che affrontasse le emergenze chiesi una specie di "conto della serva", e la cifra che uscì era davvero esorbitante. Una serie di interventi urgenti vennero realizzati grazie, all'epoca, al cospicuo bilancio regionale, mentre oggi analoghi episodi ci vedrebbero in gravi difficoltà nell'avere le risorse proprie necessarie. Molte di quelle opere - lo dico incidentalmente - non sono a tutt'oggi ben manutenute e molti dei torrenti "incattiviti" dalle precipitazioni eccezionali oggi hanno visto veri e propri boschi nascere nei propri alvei. Così come, in generale, molte delle opere in elenco per rendere più sicuro il territorio sono ancora in lista d'attesa ed alcune delocalizzazioni di case o villaggi consigliate al tempo non si sono mai realizzate. "Opere di bene" significa dunque consentire che le Alpi, a fronte di cambiamenti in corso del territorio che accentuano i rischi, accompagnandosi a cambiamenti climatici che rendono le bizzarrie meteo ancora più aggressive, devono rendere sicura la vita di chi sceglie di abitare in zone montane. Per altro queste misure si ripercuotono in positivo su chi vive a valle, sino alle pianure, visto che si sa bene come certi eventi calamitosi sulle Alpi ricadano su chi vive più in basso. Ci vogliono dunque i soldi necessari per farlo. Sarà un ragionamento poco poetico, ma bisogna affrontarlo con chiarezza. E bisogna farlo per un'ultima ragione: le Alpi abbandonate a sé stesse, senza la presenza umana, peggiorerebbero il loro degrado, che si aggiunge alle vicende della Natura elencate sino ad oggi. Capisco quanto sia difficile spostare le risorse necessarie, perché spesso la politica di oggi privilegia le zone elettoralmente floride, e non comunità da "lassù gli ultimi", che contano poco numericamente, specie in occasione del voto. Ma si tratta naturalmente di una visione miope. Non bastano fiori e retorica, ci vogliono i denari.