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23 apr 2019

La conchiglia e il Web

di Luciano Caveri

Gli animali nascosti nelle loro corazze mi hanno sempre fatto impressione. Come tutti i bambini ho studiato le chiocciole (dette impropriamente "lumache", che sono invece quelle senza guscio) nelle loro diverse reazioni. Dal ritrarre le "corna" (scientificamente sono i tentacoli con l'occhio sommitale) allo scomparire nella conchiglia: esisteva una sorta di gusto della scoperta per capire come funzionassero questi sistemi di protezione. Idem per gli animali marini dentro le conchiglie: il più interessante per me esploratore era il "Paguro Bernardo" (che da un'espressione scherzosa in provenzale divenne poi nome scientifico scelto da Linneo), di cui sulla spiaggia avevo approfondito i comportamenti e da adulto ho visto che in certe occasioni con i piccoli granchietti eremiti vengono persino organizzate improbabili e scherzose corse sulla sabbia.

Poi cresci e ti domandi come porsi rispetto a questa questione del ripararsi e rinchiudersi (certo nel caso animale contro i predatori), che finisce per essere una solida metafora della nostra umanità. C'è davvero qualche cosa su cui riflettere: di corazze, di maschere, di protezioni ognuno di noi se ne costruisce. Uno degli aspetti che oggi più mi colpisce è come Internet, mondo dalle mille sfaccettature che richiederebbe tante vite per poterne avere una visione complessiva, finisca - specie sui "social" - per essere per molti una sorta di mondo parallelo in cui ci si rifugia come dentro una conchiglia. Può essere un rifugio per eremiti, che vivono una vita digitale che finisce in qualche modo per imprigionarli. Una sorta di socialità surrogata, che fa di chi ne resti imprigionato una sorta di avatar. Quante volte vediamo descritte delle vite e delle vicende personali per nulla corrispondenti alla realtà. Ci si costruisce una sorta di personalità parallela, evidentemente ritenuta più corrispondente ai propri desideri ed alle proprie speranze. Osservava, tempo fa, Zygmunt Bauman sul rapporto tra società e il Web in un'intervista di Andrea Rubin su "oggiscienza": «Perché c'è una cosa che l'online può garantire e che invece l'offline non può fare: cioè garantire la sicurezza che non si è mai da soli. La solitudine, ovviamente, è un problema sentito a livello generalizzato. Noi tutti abbiamo paura di restare da soli. E nelle società moderne, che sono diventate sempre più individualizzate, il tempo che trascorriamo da soli è diventato esponenzialmente maggiore. Quando uscì il walk-man, parlo veramente della preistoria della tecnologia, i pubblicitari utilizzarono un motto veramente contagioso per pubblicizzarlo: "Mai più soli". E la parola chiave era proprio in quel "più". Però il walk-man era lontano, ovviamente, anni luce dalla tecnologia attuale. Non era interattivo. Oggi abbiamo "Facebook". Basta avere un account "Facebook" e non si è mai soli. Ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette, c'è sempre qualcuno a cui possiamo mandare un messaggio. Addirittura è più facile comunicare con i propri "amici" della Nuova Zelanda rispetto al nostro vicino di casa. Magari il nostro vicino di casa è uscito, magari è malato, magari sta ricevendo altre persone quindi non è online per noi, non è disponibile. Ma, nel mondo online, c'è sempre qualcuno di accessibile». Ma esiste poi, secondo il sociologo polacco un rischio di chiusura nella chiusura: «Il mondo online ha manifestato un grande paradosso. Internet ci da accesso ad una massa enorme di informazioni. Oggi, possiamo veramente sapere come vivono, cosa pensano, cosa sognino tutte le persone in qualsiasi angolo del pianeta si trovino ad abitare. Alcuni osservatori, all'inizio dell'era di Internet, sostenevano che questo potesse rappresentare una speranza verso un cambiamento. Verso una maggiore tolleranza e una migliore convivenza. Grazie al fatto che le persone, con tutte queste informazioni, amplieranno i propri orizzonti, riusciranno a capire che ci sono molti diversi esseri umani, riusciranno ad accettare gli altri perché sapranno più cose sugli altri. In realtà non succede proprio così. Perché chi sfrutta molto Internet, non lo sfrutta per risolvere o confrontarsi con la gestione della diversità ma per spazzare questo problema sotto il tappeto. Per evitare la diversità. Evitare il confronto. Perché noi, nella nostra tastiera, abbiamo questo tasto magico che dice "cancella". Non appena ci imbattiamo in qualcuno o in qualcosa che non è affine a noi, possiamo sempre cancellarlo. Ci circondiamo esclusivamente da persone affini che abitano il nostro mondo. L'effetto collaterale, veramente inarrestabile, ma che avanza in maniera costante, è il fatto che noi finiamo per perdere la capacità di creare una coesistenza nel mondo offline. Perché, se nel mondo offline, le cose diventano difficili da gestire, noi ci rifuggiamo online, dove vivono tutte le persone che la pensano come noi. Il mondo online rappresenta un'estensione del nostro ego, della nostra autostima». Insomma: il Web può essere chiusura nella nostra conchiglia ed addirittura - il paradosso nel rapporto con un mondo immenso di persone e di saperi - imprigionarsi in un mondo senza confronto, fatto di persone che la pensano solo come noi.