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17 apr 2019

Triste storia familiare

di Luciano Caveri

Invecchiare è un dono di questi tempi, pensando alle epoche in cui una lunga vita era un'eccezione. Tuttavia è inutile negare come questo spostamento verso età sempre più avanzate abbia una serie di criticità su cui non si può fare finta di niente. Circostanza che colpisce lo stato sociale ed il suo futuro: dalla persona singola che si trova in oggettiva situazione di debolezza alla famiglia intera che deve occuparsene, sino alla società nelle sue diverse componenti. E' questione di costi e di strategie contro il degrado, per molti, dell'ultima parte della propria vita, con situazioni difficili da reggere per chi sta loro attorno. Si prefigura così un mondo molto diverso dal passato, nel quale sarebbe bene definire non solo la questione della qualità della vita dei "grandi vecchi", ma anche meglio chiarire l'intrico fra diritti e doveri, per vivere tutti più tranquilli e sapere cosa fare senza sbagliare, nel rispetto dei reciproci ruoli di chi deve occuparsene.

Mia madre ha 89 anni e con la veneranda età - ormai vedova da anni - perde i colpi, com'è naturale che sia. Abitava da sola, ha avuto sino a poco tempo fa solo una donna ad ore che l'aiutava (e ancora l'aiuta) per pulizie e pasti. Pochi mesi fa si è rotta il femore ed al rientro a casa, dopo l'operazione e la riabilitazione, le è stata affiancata, firmando il regolare contratto e senza farne un "casus belli", una badante, scelta per le sue doti e per le referenze per un lavoro precedente di assistenza ad una persona anziana. Poco tempo dopo, in contemporanea con un suo progressivo miglioramento post operazione nella deambulazione, mia mamma ha cominciato ad essere aggressiva ed offensiva con la badante, non volendola più in casa, malgrado un generale sforzo di tutti per spiegarle - medici compresi - quanto le fosse utile e indispensabile avere qualcuno che le stia accanto per aiutarla. Ogni giorno che passa il quadro peggiora: mia mamma non vuole nessuno in casa, se non la donna ad ore e vuol far valere il suo "niet" senza sentire ragione con accanimento ed in modo quasi maniacale. Quando studi gli obblighi filiali da codice civile, fatto salvo il fatto che la strada dell'interdizione è la complessa e forse inutile ultima spiaggia, ti domandi cosa diavolo fare e cadi uno stato di difficoltà, quando ogni ragionevolezza esce di scena e spiegare la situazione con calma non serve a nulla, di fronte ad una sorta di furia. Naturalmente i due figli (mio fratello ed io), che abitiamo altrove con le rispettive famiglie, per aver affrontato (per buonsenso e sollecitazione medica) la questione della badante diventiamo nella mente materna come brutti e cattivi con minaccia «di ricorrere ai Carabinieri» (sic!) ed al notaio, immagino per essere puniti nell'eredità. Per cui ad occuparsi della questione, come doveroso, si finisce nella lista nera della nostra mamma, che - molto aggressiva - si sfoga senza pietà contro di noi ed i nostri affetti, mettendo a dura prova ogni santa pazienza e solo il pensiero che certa irragionevolezza sia conseguenza dell'età attenua la tentazione di dire «basta, non me ne occupo più». Ma come fare altrimenti, visto che ragionamenti e persuasioni bonarie si scontrano contro un muro o forse un mulo? Far transitare una questione affettiva e sociale in campo giudiziario addolorerebbe e stranisce il solo pensiero. Eppure è così complesso il problema che ci si chiede - da figli - se non sia il caso di meglio definire per legge le responsabilità, evitando contenziosi dolorosi che stravolgano logiche di fiducia nel rapporto fra figli e genitori, di fronte ad una solo apparente capacità di intendere e di volere, che mostra numerose questioni da chiarire, e strumenti coercitivi sarebbero una ben triste scorciatoia. Storie nuove di vita vissuta, che bisogna affrontare, purtroppo, è saranno scenari sempre più consueti.