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05 apr 2019

Il peso del destino

di Luciano Caveri

Il margine fra gioia e dolore, fra festa e tragedia - con capovolgimenti che lasciano stupefatti e ci interrogano sulla capricciosità del destino e delle sue combinazioni - resta uno degli aspetti più insondabili della nostra umanità. Ce lo ricordano i grandi avvenimenti della Storia e le mille vicende vissute nella nostra vita in un incrocio fra il grande ed il piccolo. Vedete: ieri già per me era stata una giornata straniante in questo medesimo solco. In una meravigliosa giornata di sole, si svolgeva a Torgnon la festa del locale sci club, dove mio figlio più piccola frequenta la squadretta agonistica dello sci. Avete idea di quelle domeniche in cui si è davvero in pace con sé stessi: in attesa di gareggiare anch'io in un gigante con bambini di diverse categorie e qualche genitore mi godevo da una parte la straordinaria bellezza delle nostre montagne e guardavo dall'altra con il cuore pieno questi ragazzi e bambini carichi di energia e di felicità.

Poi, mentre stavamo per fare le premiazioni e goderci un pranzo all'aperto con il sole primaverile, la notizia per me terribile della morte del Senatore César Dujany, amico e compagno di tante avventure. Mi sono messo in un angolo e ho scritto di getto i pensieri che trovate qui sotto, quasi sotto choc nel pensare come nelle stesse ore si consumasse una dolorosa dipartita in una giornata nata all'insegna di una gaiezza genuina, perché nutrita - come dev'essere la vera felicità - da poche cose che ci illuminano la giornata in mezzo a tante brutture. Confesso che molte volte, quando mi incontravo con César dapprima agli 80, poi ai 90, poi ai 99 mi sarebbe piaciuto chiedergli come fosse possibile quella sua incredibile operosità, che mai si fermava, mentre la corsa contro il tempo della sua vita si infilava per ovvie ragioni verso una dirittura finale. Ma evocare questa cosa - di cui lui avrebbe sorriso sornione - mi sembrava stupida e forse malaugurante per chi in età veneranda pensa e progetta come se nulla fosse. Ci pensavo ancora mentre andavo ad un appuntamento con una troupe "Rai" che voleva raccogliere qualche mio pensiero proprio su César, quando il giornalista incaricato mi avvertiva di un incidente aereo proprio a Torgnon e dunque l'intervista sarebbe stata spostata. E' sopravvenuta una mezz'ora dopo una seconda troupe ed ho lasciato alla telecamera un breve messaggio per poi spostarmi per una visita a casa Dujany a Châtillon. Un momento emotivamente difficile quando mi sono trovato di fronte alla bara di César e l'ho visto lì nella sua ultima postura, dopo aver molto sofferto in questi ultimi giorni. All'uscita la triste scoperta di come quell'incidente aereo avesse un collegamento con quella bella festa a Torgnon, che mi aveva fatto vivere un momento allegro e spensierato. Il pilota morto - Corrado Hérin, sposato a Torgnon - era stato al mattino con noi al cancelletto di partenza della gara, dove correva uno dei figli e con il suo velivolo aveva deciso nel pomeriggio di volare sopra la zona dei festeggiamenti con l'idea di lanciare qualche coriandolo. Invece, lo schianto, la morte, la tragedia che anche questo caso incombe, come a mostrare la duplicità di questa nostra vita. La luce e l'ombra si rincorrono e si alternano nel breve volgere di poche ore e la vita e la morte, che corrono una staffetta di cui ignoriamo gli esiti e i momenti, incombono su di noi. O forse ha invece ragione Cesare Pavese a giocare con le parole: «Non è che accadono a ciascuno cose secondo un destino, ma le cose accadute ciascuno le interpreta, se ne ha la forza, disponendole secondo un senso, vale a dire, un destino».