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22 mar 2019

Senza dibattito, aspettando Godot

di Luciano Caveri

Ormai il dibattito pubblico valdostano vola basso e spiace che sia così in un periodo in cui, come in una mesta "Catena di Sant'Antonio", assistiamo alla periodica caduta di qualche ulteriore certezza sulla solidità della nostra piccola Valle, con un effetto depressivo e con una perdita di solidi punti di riferimento. L'altro giorno dalle montagne che dominano Chamois, dando le spalle al Cervino, pensavo a quanto siamo fortunati a vivere qui in questo luogo alpino straordinario. Al momento aulico, sceso in un bar, è seguito quello prosaico, parlando con persone - come mi capita sempre più spesso - che, pur diverse fra loro, convengono infine su di un sentimento di affaticamento e di rifiuto verso un mondo della politica locale che gira in tondo. Si segnala una mancata comprensione di questo senso di ripulsa, che dovrebbe allarmare chi si occupa della "cosa pubblica", perché una comunità non è un'entità astratta, ma è fatta di cervelli, cuori e viscere.

Di certo a fronte di diverse vicende giudiziarie che avvolgono come nebbia il nostro orizzonte, manca davvero una riflessione seria sul futuro. Qualche sprazzo c'e perché sarebbe ridicolo fare di tutta un'erba un fascio, ma poi si spegne in una sorta di palude, aspettando Godot. Penso sia nota quest'espressione, che sta a significare l'attesa qualcosa di risolutivo che, in realtà, non arriverà mai. O comunque che le svolte debbano avvenire fuori dalla politica ad esempio per via giudiziaria, affinché la politica cambi, è ben triste circostanza. Per la cronaca "Aspettando Godot" viene dalla opera a del drammaturgo Samuel Beckett, che racconta di due mendicanti che, per migliorare la loro condizione, aspettano l'arrivo di questo signor Godot, che alla fine della tragedia non si presenterà. Per cui sarebbe bene attrezzarsi in proprio e vorrei snocciolare qualche pensiero rozzo, come titoli da sviluppare non so neppure bene dove:

Bisogna adattarsi ai cambiamenti più veloci con realismo e senza idealizzare il passato, visto che quel conta è il futuro; Lo Statuto Speciale è un problema: rigido per lo scarso impulso delle norme di attuazione con il paradosso ulteriore che non si può mettere mano ad una riscrittura pena il rischio di una sua possibile soppressione con il clima che c'è; La società valdostana ha una mancanza di dinamismo dovuta a fatti seri come l'emigrazione di giovani ed il calo demografico ed una incapacità di far incontrare offerta e domanda nel lavoro, nell'istruzione e nella formazione; Ci vorrebbe una politica adatta al nostro mondo della montagna, che sappia legiferare ed amministrare meglio la particolarità dei nostri territori e della nostra società; Sapendo che tutto cambia velocemente, bisogna evitare la nostalgia, che è rappresentata dalle visioni utopistiche del passato: rifarsi ai padri dell'Autonomia non fa venir meno hic et nunc ai nostri doveri. E certo vale la necessità di guardare agli alti e bassi nei secoli della parabola autonomista; Rifondare il pensiero politico autonomista significa non limitarsi alla denuncia delle malefatte altrui ma proporre delle alternative, sapendo che governare stanca e in questi anni si rischia grosso a esporsi. Più facile criticare che costruire; Un rapporto fra risorse pubbliche e grande capitale (investitori) non dev'essere per nulla un tabù, ad esempio in quel caposaldo che sarà sempre più il Turismo; La "macchina del consenso" funziona in modo stabile se non si vende fumo, altrimenti sparisce in fretta. Ma, intanto, vale la constatazione che lo spettacolo della politica rischia di non avere né vincitori né vinti.

Pensierini certo, né originali né profondi, ma sono titoli con cui sarebbe bello potersi esercitare, fuori dai recinti di rigide appartenenze, ma manca l'agorà dove questo possa avvenire. Non lo sono i partiti e movimenti, in grave crisi d'identità e di partecipazione, non lo è il Consiglio Valle, dove vige la lite perpetua che non distilla saggezza. Per cui su temi nodali finisce per mancare una sintesi, frutto di confronti articolati ed arricchenti. Io penso che sia un male.