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12 feb 2019

Sanremo e certi "45 giri"

di Luciano Caveri

Certo che guardo il "Festival di Sanremo": lo faccio con uno zapping serale e l'indomani sbirciando i pezzi di trasmissione, specie nelle parti che i quotidiani indicano come significative. E' ormai possibile - anche con "RaiPlay" - una sorta di televisione "fai da te" con cui costruire il proprio palinsesto. Guardo "Sanremo" perché è un insieme di immagini che fotografano non solo lo stato di salute della musica italiana (che non è florido), ma finisce per essere - nella parte spettacolo, oltre l'esibizione canora - segno dei tempi e dei costumi. E si avverte la logica autarchica - non uso "sovranista" per non rendermi ridicolo - che pervade una parte di società italiana, quando anche sui prodotti di largo consumo in vendita nei supermercati c'è scritto, talvolta con il tricolore d'ordinanza, "prodotto in Italia".

Così diventa "Sanremo" nell'anno di grazia 2019, privato di quell'aria internazionale con big che salivano sul palco dell'"Ariston", rilucente di tecnologie che sembrano come non mai l'Italia di oggi. Il set sfavillante di "Sanremo", quando tutto finisce, resta solo un vecchio cinema della Riviera di Ponente. Certo resta un rimasuglio d'invidia per la Città dei fiori, che è riuscita - diversamente da Saint-Vincent, "Riviera delle Alpi" (notate la combinazione lessicale?) con il suo "Disco per l'Estate" - a mantenere con il Festival una vetrina importante, per quanto siano unite le due località dal declino delle rispettive Case da gioco. Ma, come dicevo, Sanremo con il suo Festival si fa guardare e si fa ascoltare. Colpisce l'ormai mancanza di abitudine di molti cantanti prodotti più che di marketing che di ugola, quando si trovano nella necessità di cantare dal vivo e molti cadono rispetto a questa prova, che dovrebbe essere il loro lavoro. Trovo una combinazione divertente, sull'onda della nostalgia, che in queste ore mi abbiamo regalato un libro intitolato "45 giri, Sessanta dischi anni Sessanta che scalarono le classifiche" del vercellese Bruno Casalino per le edizioni Effedì. Molti sono successi sanremesi, altri no, ma restituiscono, sin dai titoli, quel clima ingenuo ma vitale di quegli anni della mia infanzia profonda. Conosco quei titoli, ho visto le copertine, ho infilato quei piccoli dischi in vinile nel mangiadischi o ho infilato nei solchi la puntina del giradischi. Quella musica - e darò qualche titolo associato al cantante - è quando l'ascolto come un'efficace macchina del tempo, che mi riporta indietro a momenti e sensazioni affondare nella memoria. Riappaiono come flash dal passato ed alcune di queste sono canzoni diventate un classico e il passare del tempo non ha spento il loro eco. Guido Michelone, esperto di musica e docente universitario, nella sua introduzione, evoca questo periodo d'oro non solo per l'energia delle pagine di Storia di quel dopoguerra, ma anche per la musica: «La canzone italiana degli anni Sessanta comprende e favorisce situazioni espressive poliedriche a livello di forme e di contenuti: ci sono i melodici, gli urlatori e i primi rockers, ci sono i primissimi cantautori (la scuola di Genova e poi quella milanese), ci sono il cabaret meneghino e moderni napoletani, ci sono i Cantacronache, il Nuovo Canzoniere Italiano e il folk revival, ci sono il dixieland, il californiano e la jazz song, ci sono lo yé-yé e il bitt (scritto come si pronuncia, dall'inglese beat); e ci sono persino - quasi una categoria speciale! - i brani stranieri tradotti nella nostra lingua». I titoli? Dei sessanta dei Sessanta distillo per gusto personale: da "Azzurro" di Adriano Celentano (musica di Paolo Conte, testo di Vito Pallavicini) anno 1966 a "Cuando calienta il sol" degli "Los Hermanos Rigual" del 1962 dal ritmo latino-americano, da "Ho scritto t'amo sulla sabbia" cantato da "Franco IV e Franco I" proprio a Saint-Vincent nel 1968 a "Il cielo in una stanza scritto" da Gino Paoli e cantato da Mina nel 1960, dal sempreverde "Il ragazzo della via Gluck" di Adriano Celentano ben prima che diventasse una sorta di predicatore a "La bambola" di Patty Pravo che sembra preveggenza di quell'immagine ormai plasticosa che vediamo in queste ore a "Sanremo". Potrei continuare a lungo in questa carrellata dal passato, evocata anche dalle copertine dei "45 giri" sulla copertina del libro, ma di ogni viaggio come questo va raccontata solo qualche tappa.