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28 dic 2018

Contro la logica del popolo bue

di Luciano Caveri

La banalizzazione è una delle pesti bubboniche di questi tempi. Si parla di questioni politiche e istituzionali, specie sui "social" che sono come il Far West in barba alle regole dei network, ma persino nella comunicazione istituzionale che ormai usa le armi della propaganda di massa di stampo pubblicitario, come se si parlasse al bancone del "bar Sport", in certi casi persino come se si fosse giunti alla terza birra media. La logica - barbara e classista - è che il popolo è "bue" e come tale va trattato. Meglio un bel selfie o un filmatino terra a terra che cercare al contrario di alzare il livello, spiegando in modo divulgativo certe cose. Parlare alle trippe più che al cervello è esercizio più facile e si sa che più si evocano nemici e più le truppe inconsapevoli rispondono sull'attenti. L'altro giorno ho visto, lungo la Val d'Ayas, una scritta del Ventennio che la dice lunga e va tenuta e non cancellata per il suo ammonimento: "Credere, Obbedire, Combattere..."

Può darsi che io sia in torto marcio e debba adeguarmi a questa logica di strizzate d'occhio, ammiccamenti, mossette, rutti e scoregge che fanno simpatia. Ma confesso di non riuscire a capire perché ci si debba ridurre così: senza mai pretendere livelli sopraffini, linguaggi élitari ed atteggiamenti snob si tratta di avere rispetto per i cittadini e lavorare assieme per risolvere le questioni, esponendole in modo comprensibile e popolare, ma mai scadendo nel popolaresco e nel pecoreccio. Chi ha avuto la fortuna di accumulare esperienze e conoscenze deve condividerle e lo deve fare con un linguaggio piano e aperto al contributo di chiunque, ma pretendendo che questo avvenga nel rispetto reciproco. Sapere e conoscere non è un "attentato alla Democrazia", lo è semmai il contrario, quando un argomento che non si conosce viene lo stesso affrontato ad uzzo e senza quell'approccio necessario, che prevede che si abbiano, su di un tema, almeno i fondamentali. Per questo esiste la "democrazia parlamentare", cui si contrappone la "democrazia diretta", senza rendersi conto che i meccanismi sono complementari e non vanno distaccati e lo dici a chi ammira il funzionamento della vicina Svizzera, dove tutto è reso convincente dal federalismo e dall'onorabilità degli eletti che, anche con peccati non gravissimi, se ne vanno a casa e non restano "nel giro". A costo di risultare antipatici, io credo che ci debba comportare con coerenza e onestà, perché quelli che fanno i simpaticoni a tutti i costi ed accarezzano il gatto dalla parte del pelo per piacere a tutti i costi, possono essere "pifferai magici" che portano allo sfascio. I dittatori, quando in sintonia con la popolazione, sono stati, almeno all'inizio, straordinari ammaliatori, che si mettevano, anche con bugie e inganni, sulla lunghezza d'onda popolare e spesso il loro successo non è passato attraverso golpe sanguinosi, ma attraverso votazioni plebiscitarie. Poi, sul lungo periodo, anche il più ingenuo ha avuto la possibilità di aprire gli occhi, altrimenti certe dittature sarebbero durate ancora di più. Ma sia chiaro che, anche agli esordi di regimi totalitari, ci sono stati nuclei di persone più accorte che avevano snasato quanto stava per avvenire, in genere zittiti e messi in un angolo o peggio in galera od al muro per la loro scomodità contro la comoda pantofola del conformismo. Pensavo, così ragionando alla complessità dei temi dell'Autonomia che riguardano non solo gli autonomisti ma ogni cittadino anche chi - pensa al paradosso - è contrario all'attuale ordinamento autonomistico o non sa un tubo perché vive in Valle d'Aosta come farebbe a Roccacannuccia od a Bristol. Trovo che gli eccessi emotivi e sentimentali, le semplificazioni e la volgarizzazione di certi argomenti nuocciano gravemente alla salute della nostra democrazia. Bisogna ricostruire una coscienza autonomista in senso ampio e non in una logica di indottrinamento, ma si tratta di dare quegli strumenti di base nella conoscenza che consentano di reagire ai problemi, sapendo quale sia il perimetro delle nostri istituzioni nel rapporto - banalizzo - con Roma e con Bruxelles. Sento spesso anche in quelli che dovrebbero essere addetti ai lavori delle baggianate sesquipedali, che ricadono non solo su di loro ma anche sui loro collaboratori. Ho conosciuto persino chi con intelligenza, pur ignoranti in certe materie, avevano il decoro di scegliere collaboratori od esperti che lavorassero per loro. Anche in questo caso nel scendere a livelli più bassi di competenza si creano situazioni grottesche, che somigliano al "telefono senza fili": si parte con questioni serie, che mano a mano vengono svilite dal tentativo di essere piacioni ad ogni costo sulla base di informazioni inesatte se non sbagliate. Morale? Ci vuole un'alleanze fra tutti coloro che - e non è questione di titolo di studio, di censo o di "q.i." - hanno voglia di scambiarsi idee e progetti su punti singoli o su programmi complessivi, ma per condividere questo percorso bisogna avere tutti umiltà e serietà e non scegliere scorciatoie.