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30 nov 2018

Perché Asmara non è un luogo da sogno

di Luciano Caveri

Nelle mie trasmissioni radiofoniche metto spesso dei brani, vecchi e nuovi, di Lorenzo "Jovanotti", perché ormai è da tanti anni sulla scena - quindi sa descrivere diversi scenari generazionali - e dimostra una curiosità che mi è sempre piaciuta. E mi era anche piaciuto un suo concerto a Torino nell'aprile scorso, durante il quale aveva dimostrato una bella padronanza del palcoscenico. Giorni fa l'ho sentito per radio che presentava questo nuovo singolo "Chiaro di luna". La clip è - così raccontava - girata ad Asmara, in Eritrea. Nella città del Corno d'Africa, molti anni fa un altro Lorenzo, il nonno del cantante, lavorò come camionista ai tempi del colonialismo italiano.

Lorenzo nel video è un musicista che per una ragione non chiara se ne sta in questa città e la sera suona le canzoni nel bar del "cinema Roma". C'è una coppia di innamorati che lo va a sentire. Il clima tra loro è sospeso, forse è la loro ultima notte insieme, forse non si rivedranno più, ma prima di lasciarsi ballano teneramente abbracciati sulle note romantiche di "Chiaro di luna". Diceva Jovanotti: «Volevo raccontare l'Africa senza stereotipi su quel continente, perché non esiste luogo al mondo più complesso e più legato al nostro destino, e gli stereotipi e le generalizzazioni fanno sempre solo male». Mi era francamente sfuggito cosa significasse e sono andato a vedermi il video, ben realizzato e un pizzico sdolcinato. Ma ad aprirmi di più gli occhi sui rischi di questa operazione «contro gli stereotipi» è stato il grande inviato de "La Stampa", Domenico Quirico. Uno, scusate l'espressione, "con le palle". Ricordo che nell'agosto del 2011 viene rapito in Libia e liberato dopo due giorni, mentre il 9 aprile 2013, quando si trovava in Siria come inviato di guerra venne rapito di nuovo e fu tenuto prigioniero per cinque mesi. Conosce bene l'Eritrea è così ha scritto: «C'è un cantante, famoso, Lorenzo Jovanotti: il suo ultimo lavoro ripropone la milionesima versione del "Chiaro di luna" e l'ambienta ad Asmara, capitale della africana Eritrea. Per favore: non venite a pispigliare la Solita Solfa, che, in fondo, sono solo canzonette e non vale la pena di far baccano. Scusa ormai rancida, oggi più che mai: con commedie e canzonette si fa politica, eccome, fin dal tempo di Alcibiade nell'Atene della prima democrazia. E i più accorti ad abbordarla da questo lato sono spesso proprio i tiranni.
Ottima scelta, Asmara, dal punto di vista scenografico per ragionar d'amore, per le architetture razionaliste al limite del metafisico, alla De Chirico per intenderci, lasciate lì come unico legato accettabile dal nostro colonialismo. Ma c'è un ma: che è appunto lo sfondo. Alcuni luoghi del mondo non sono neutri, un puro suggestivo palcoscenico che richiama l'idea della bellezza. Geroglificano più dell'obelisco di Luxor, hanno in sé significati e rimandi potenti e scomodi. L'Asmara è uno di questi, l'Africa è uno di questi: soprattutto oggi. E' scenario di eventi che scatenano reazioni, umori, rifiuti, pregiudizi e giudizi: migrazioni che molti vorrebbero declinare e liquidare come animalesche transumanze, fanatismi, palpiti di società civile, gioventù divise tra rassegnazione e rivoluzione, modernità e regimi corrotti e implacabili. L'Eritrea presenta appunto alcune di queste esorbitanti "criticità", come si usa dire con orribile parola. E' un luogo da cui migliaia di giovani, come quelli che appaiono nel video di Jovanotti indaffarati in lustre e amorevoli melibee, tentano in tutti i modi di fuggire per trasformarsi, a rischio della vita, in viandanti senza diritti. Ne siamo buoni testimoni in Italia. Basta interrogarli nelle nostre strade per comprendere che hanno attraversato questa estrema odissea non certo per guardare il chiaro di luna da un'altra parte. In più l'Eritrea, per annosa denuncia delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, è luogo dove l'intralcio ai medesimi conosce sfumature assai irriguardose e totali. Tanto è vero che si è guadagnata la definizione, semplicistica ma efficace, di Nord Corea dell'Africa. Il fatto che il governo eritreo, che ha concesso con acuto fiuto pubblicitario il visto a Jovanotti, non sia altrettanto ospitale con i giornalisti dà forza a questi sospetti e a queste accuse di organiche illegalità. E' questa complessità simbolica che non dovrebbero mai dimenticare coloro che oggi sanno ancora suscitare emozioni e commozioni: appunto uomini di spettacolo e cantanti come Jovanotti. Che hanno preso il posto di scrittori e poeti. Incombe su di loro una responsabilità morale, gratificante ma onerosa, tener conto delle conseguenze che emozioni e messaggi trasmettono. E questo indipendentemente dall'argomento anche leggero che trattano. Anzi questo legame etico pesa ancor più se i temi sono superficiali.
Il video di Jovanotti sarà cliccato da centinaia di migliaia di persone, ragazzi soprattutto, il suo pubblico abituale. Che non sono certo obbligati a informarsi sulle realtà africane compulsando "Nigrizia" o "Jeune Afrique". Ne ricaveranno una immagine distorta, parziale e quindi falsa: che l'Eritrea sia in fondo un luogo affascinante dove la vita è allegra e senza problemi. Un posto da turisti. E andranno a ingrossare, in questa epoca pericolosamente superficiale, il numero di coloro che, a torto, sostengono che gli africani stanno benissimo a casa loro e non hanno alcuna ragione per venire a turbare la pace di chi sta, per sua fortuna, dall'altra parte del mare». La replica di Jovanotti merita solo una pubblicazione parziale, perché piuttosto puerile: «Le ragioni che mi hanno spinto a girare in Eritrea sono di natura artistica, ma tengono conto anche del contesto sociale: non ci sono andato con leggerezza o peggio ancora con intenzioni negazioniste. Dell'Eritrea si parla pochissimo. Non ero lì per fare un reportage giornalistico, ma per ambientare un racconto visivo in un luogo che evocasse suggestioni precise adatte alla mia canzone. Che è romantica, una canzone d'amore. Che non le è piaciuta, ok. Esiste però un'intenzione mia a monte, che è contribuire all'apertura attraverso il racconto delle dinamiche amorose in un'atmosfera "sospesa", come se avvenissero prima di un grande cambiamento. Di fatto col mio video non sto parlando del governo dell'Eritrea, ma di persone, nello specifico di due persone, dei due ragazzi protagonisti e della loro storia: l'amore è sempre la più potente delle forze a qualunque latitudine, in qualunque condizione.
Sapevo della situazione del Paese. Nei giorni della mia permanenza l'ho approfondita parlando con più persone possibile. Ne sono tornato convinto che i problemi siano serissimi, ma che le cose possano cambiare. Servono gesti di apertura: se continueranno a esserci disinteresse generale, rimozione e chiusura da parte soprattutto della comunità internazionale, soprattutto di noi italiani, le cose non cambieranno mai». Insomma così giustifica il video patinato e soffuso e con quel «ok» che stride. Forse avrebbe solo dovuto dire con umiltà «sono solo canzonette» ed aggiungere che nei concerti racconterà che quella storia romantica ha un rovescio della medaglia drammatico del post-colonialismo e ringraziare Quirico, senza rifarsi alla fragile panzana della libertà dell'artista.