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20 set 2018

Quella spiaggia

di Luciano Caveri

Sono tornato per un giorno, come si fa per una fugace e improvvisata sortita, sulla sabbia della "Spiaggia d'Oro", Porto Maurizio, Imperia, piazzato banalmente a guardare il profilo dell'orizzonte, che trovo sia esercizio sempre istruttivo. Lì ho passato una buona parte delle estati della mia vita, da quando ero neonato che succhiava il latte sino a quando ero diventato - e tutto mi appariva temporalmente più lento, maledizione! - un ventenne in carriera. Questo significa - avendo avuto la spiaggia come base mai rinnegata - un lungo periodo della mia vita, quello che da copione è considerato il più bello da ricordare, perché coincide con gli anni della crescita in cui si impara - ammesso di averlo fatto davvero... - a vivere.

A Imperia, dov'è nata mia mamma, ho avuto "compagnie" fantastiche: dai castelli di sabbia da bimbo alle zingarate notturne adolescenziali con in mezzo tantissime cose che fanno un baffo a "Sapore di mare" e film simili. Poi d'emblée non ci sono più andato per decenni e questo fa parte di una mia scelta di vita, giusta o sbagliata che sia stata. Ho deciso, dopo una larga parte della mia vita da villeggiante integratissimo, imperiese per quasi un terzo dell'anno, di girare luoghi diversi non in polemica con quanto déjà-vu per molto tempo, ma in una logica di discontinuità per vivere posti nuovi ed avventure diverse rispetto al rassicurante nido - buen retiro estivo che avrei potuto replicare - dove mi ero svezzato sino a volare con le mie ali. Aggiungo una seconda ragione, del tutto irrazionale e forse persino infantile: non ho voluto tornare laddove mi sono divertito come un matto per il rischio di vivere di una sorta di reducismo da "Amici miei" in salsa "belìn"... Ho visto nella mia vita molte situazione simili all'insegna del "come eravamo", che scaldano il cuore per episodiche retrouvailles, ma sanno di muffa e di rancido se diventano solo occasione di guardare al passato. Si invecchia anzitempo se - salute e lucidità permettendo - non si vogliono fare cose nuove, assecondando la propria età del momento, evitando quel certo giovanilismo dal sapore goliardico che puzza di fasullo. Ma questo "mordi e fuggi" ancora caldo come il pane fragrante - posso scriverlo? - mi ha invece francamente commosso, perché è stato come fermarsi in una nota stazione di servizio on the road, invaso di sensazioni nostalgiche ma piacevoli, lungo però una strada nuova che sto percorrendo, finché sarà destino. Quel che colpisce di questa spiaggia e di molto di questa Imperia è che - cambiati alcuni particolari viari e costruttivi, come il discutibile porto turistico - ritrovo panorami, odori, scorci che sono parte di me, come tatuaggi in testa e nell'anima che alimentano, come fosse benzina (anzi, miscela!), il motore della mia memoria. La sabbia è la sabbia, il molo il molo, il mare il mare. Sento gli odori della focaccia e della pizza, il profumo delle aiuole e della salsedine, il rumore di "quella" risacca. Ci sono costruzioni vintage, carruggi tali e quali, cabine ridipinte ma le stesse. Mi rivedo lì mentre prendo le onde, mi tuffo dal moletto, raccolgo le conchiglie, infilzo le sogliole, estraggo i paguri, gioco a nascondino, faccio le piste per le biglie, limono le ragazze, gioco in acqua a pallavolo, arrivo in motorino, sto seduto sul muretto della "cumpa", prendo il sole come un ramarro... Andrò nel cassettone delle fotografie a ritrovare pezzi di quel passato e rivedrò certi "super8" che mi ritraggono in varie età ed in varie pose. Io sono quel che sono perché sono quello che sono stato. Ho imparato un mare di cose da questo "mio" mare, dai meravigliosi imperiesi ironici bon vivant, dalle giornate full immersion su e giù a bighellonare in spiaggia, dai "giri" da inventare quando giocavo al trascinatore, dalle feste il pomeriggio con le finestre sbarrate per ballare i lenti, dai barbecue nell'entroterra con il "Pigato" e il "Vermentino", dal torneo di calcio dei bar e dalle sfide di pallanuoto. Capisco quanto sia banale e immagino che ognuno possa, leggendomi, fare liste così e io stesso potrei riempire pagine con quelle impressioni e quei flash che tornano oggi da allora. Cosa resta? Che ho fatto bene a fare questa sfacchinata per vedere dov'era stato quell'altro me, senza escludere di tornarci come promesso ad alcune amiche e amici trovati sotto gli ombrelloni a discutere di cosa ci sia capitato nel (molto) frattempo, ma con un'unica condizione senza se e senza ma. Quella di non indugiare troppo su quanto sa di vecchio jukebox o di vecchio flipper, di cinquantino o di "Vespa", di primi amori e di guasconate, ma di costruire oggi per domani nuovi ricordi che mi tengano vivo per quel che sono e fui, dunque erede legittimo di quel Lucien, che questi stessi luoghi visse "M-E-R-A-V-I-G-L-I-O-S-A-M-E-N-T-E" e nulla rinnego!