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10 set 2018

Il gioco del Silenzio

di Luciano Caveri

L'altro giorno ero in alta montagna con amici e mi sono spostato da solo ad alcune centinaia di metri e, per un attimo, mi sono trovato in un silenzio totale. Nessun ruscello di sottofondo, nessun campanaccio di mucche al pascolo, neppure un rombo di quegli aerei che solcano i nostri cieli. C'ero io con il mio respiro. Come se il tempo si fosse per un attimo sospeso a dimostrazione che anche in questo c'è qualcosa di arbitrario. Scherzava a proposito il grande Bernard Pivot in queste ore a proposito della polemica in Europa sul mantenimento o meno del passaggio fra ora solare e quella legale e lo faceva con un tweet sberleffo: «Quels qu'ils soient, les maîtres des horloges ne sont pas les maîtres du temps. Ce ne sont que bricoleurs d'aiguilles».

Non so dove siate mentre mi leggete, ma - tornando al silenzio - credo che sia raro avere ormai la possibilità di esserne immersi e penso che sia così anche per voi in questo momento. Anzi, viviamo in un mondo rumoroso e il silenzio sembra essere qualcosa di ostile quasi da temere, come avviene nei rapporti umani quando non ci si parla più e quel vuoto diventa pieno di negatività. Invece, apprezzo sempre di più il silenzio nei suoi aspetti positivi. Scrivo, in questo momento, in un momento di passaggio fra il giorno e la notte e rari rumori dalla strada non turbano un clima ovattato, che invita alla concentrazione e fa riposare queste povere orecchie, abituate ormai ad un'invasione di decibel. Ha scritto, in "Anthropologie du silence", David Le Breton: «Le silence pénétrant d'un bâtiment ou d'un paysage est un chemin menant à soi. Moment de suspension du temps. Provision de sens et de force intérieure avant le retour au vacarme du monde et aux soucis du quotidien. Le pointillé du silence goûté à différents moments de l'existence par le recours à la campagne ou au monastère, au désert ou à la forêt, ou simplement au jardin, au parc apparaît comme un ressourcement, un temps de repos avant de retrouver le bruit, entendu au sens propre et au sens figuré, d'une immersion dans la civilisation urbaine. Le silence procure alors un sentiment aigu d'exister. Il marque un moment de dépouillement qui autorise à faire le point, à prendre ses marques, à retrouver une unité intérieure, à franchir le pas d'une décision difficile. Le silence élague l'homme et le rend à nouveau disponible, déblaie le chantier au sein duquel il se débat. Le promeneur attentif entre lentement par son écoute dans ses différents cercles, à chaque instant il pénètre d'autres univers sonores qui peuplent l'épaisseur du silence. Il se découvre soudain un sens nouveau, non l'approfondissement de l'ouïe, mais un sens inédit attaché à la perception du silence». Aggiungerei un elemento più personale, che deriva dalle mie esperienze. Mi riferisco alla Politica, che da sempre è il regno della parola. Ho fatto parte di "parlamenti" e ricordo come questa parola sia ovvia derivazione di parlare col significato primitivo - spiega l'Etimologico - di "il parlare, il parlare in pubblico; l'anglo-normanno "parlement" ha assunto il significato di "assemblea legislativa" nella seconda metà del XIII secolo, in seguito alla concessione della "Magna Charta", e questo significato si è progressivamente trasmesso alle altre lingue", per cui ho passato molto del mio tempo ad esprimermi in queste ed altre assise. Ma oggi non sopporto più l'eccesso di parola rispetto ai fatti, cui la Politica obbliga. Non sopporto più lo straparlare, l'urlare senza ragione, gli eccessi polemici e l'irrisione, i troppi annunci verbosi senza poi fatti concreti. Mi sento in questo in assoluta pace con me stesso: meglio il silenzio di questo rumore che, amplificato da "social" chiassosi, diventa cacofonico e come tale insopportabile. Bisognerebbe imporre quel "gioco del Silenzio" che da bambini ci serviva a farci stare zitti.