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19 ago 2018

Chi fa e chi non fa

di Luciano Caveri

Viviamo in un mondo complicato ed ogni tanto ti domandi se una vena di crescente pessimismo sia un'impressione passeggera o qualche cosa di grave incomba ormai su di noi. Temo la Storia, che cammina sulle gambe degli uomini, stia per farci affondare da qualche parte dopo decenni pieni di contraddizioni, ma in cui si era rimasti grossomodo in superficie. Lo si vede da grandi argomenti e da impressioni più fattuali, che danno il segno dei tempi più di molto altro. Avere a che fare con decisioni politiche significa, nell'attuale sistema, adoperare i diversi strumenti normativi ed amministrativi per assumere delle decisioni. Quindi questo vale sia per i politici che per dirigenti e funzionari, sapendo quanto le regole attuali leghino - nella complessità di un diritto amministrativo sempre più involuto e pieno di trabocchetti - i rispettivi destini.

Dando per scontato che qui non mi occupo di malaffare nelle molteplici forme possibili che inficiano la bontà delle scelte, quel che trovo incredibile, nella situazione attuale, è che le molte paure - che siano danni erariali o procedimenti penali - pesano nella complessità della macchina burocratica messa in piedi nel tempo. Siamo ormai al terribile paradosso che tra il "fare" ed il "non fare" sembra prevalere la scelta attendista, il rinvio, la titubanza. Stando fermi non si sbaglia mai o non si incorre nel dubbio che alla "decisione A" sarebbe stata preferibile la "B" o la "C". Ma - che non paia un paradosso - siamo davvero sicuri che la paralisi non costi? C'è quel bellissimo passaggio di Carlo Emilio Gadda con la sua straordinaria padronanza linguistica: "Là, da più lune, la sua pratica risognata attendeva, attendeva. Come delle pere, delle nespole, anche il maturare d'una pratica s'insignisce di quella capacità di perfettibile macerazione che la capitale dell'ex-regno conferisce alla carta, si commisura ad un tempo non revolutorio, ma interno alla carta e ai relativi bolli, d'incubazione e d'ammollimento romano. S'addobbano, di muta polvere, tutte le filze e gli schedari degli archivi: di ragnateli grevi tutti gli scatoloni del tempo: del tempo incubante". Penso ai fondi comunitari, che anche in campagna elettorale tutti hanno cantato come bacchetta magica contro il dimagrimento delle risorse pubbliche nella nostra impoverita Regione autonoma. In passato, in effetti, quando le vacche erano grasse bastava un assestamento di bilancio per rimpinguare le casse laddove necessario. Per cui certe possibilità venivano snobbate in Regione e Comuni, tenendo conto che i soldi potevano arrivare altrimenti e le norme europee comportano certe "rotture": tempi da rispettare, budget da non sforare, rendicontazioni precise. Ridotti i soldi, restano le complicazioni, semmai ancora peggiorate con i controlli di diverso livello che possono costare cari in caso non si siano stati rispettati alcuni passaggi ed in fondo al tunnel c'è la restituzione del denaro e l'ombra sempre più incombente della Corte dei Conti che, in questi casi come altri, ragiona sulle carte "a freddo". Meglio dunque usare i fondi e correre qualche rischio o meglio farsi scivolare via le possibilità per evitare che una partecipazione diventi un trappolone? Ma - ripeto - questa decisione "astensionistica" significa la possibile perdita ex ante di soldi che potrebbero affluire! Naturalmente il "non agire" non è quantificabile in termini economici e perseguibile per la "pigrizia" difensiva con l'evidente paradosso che viene premiato chi non agisce e non chi agisce, assumendosi dei rischi nell'incrocio già premesso fra Politica e Dirigenza. Morale? Riflettiamo su cosa non va, ripensiamo al sistema dei controlli interni e esterni, al rapporto fra aspetti repressivi e logiche collaborative, sogniamo attorno alla proclamata semplificazione. Ma bisogna trovare un modo di premiare e non sottoporre a spade di Damocle chi decide di mettersi in gioco.