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14 ago 2018

Da Aymavilles alla rete dei castelli

di Luciano Caveri

I castelli restano uno degli aspetti più importanti della civiltà valdostana, coprendo il territorio con costruzioni diverse e originali. In epoca di un fiorire del turismo culturale, è questa una fonte di attrazione sicura, anche se si stenta a trovare soluzioni gestionali che li valorizzino in rete e diano ad ogni edificio, laddove possibile, una destinazione che offra proprio un senso di insieme, ricco di attrattività. Per non dire della mancanza di campagne pubblicitarie, specie in un'epoca in cui ci sono modalità meno costose che in passato, attraverso i "social". Ma sembrano mancare una regia efficace e idee innovative. Scriveva Bruno Orlandoni, storico dell'arte di grande spessore (è stato anche mio professore!), in un articolo per una pubblicazione svizzera: «I castelli medievali rappresentano, la cosa è nota, uno degli aspetti caratterizzanti del paesaggio valdostano».

«Costruiti spesso in luoghi di grande bellezza panoramica da feudatari più o meno riottosi - continuava - hanno cominciato ad assumere i loro caratteri, per quanto ne sappiamo, negli anni attorno all'inizio del nostro millennio per subire poi continue trasformazioni, ingrandimenti, passaggi di proprietà fino all'abbandono progressivo e al degrado che si sono imposti, col cambiare di costumi, stili di vita, rapporti di potere, tra il XVII e il XVIII secolo. Riscoperti quand'erano ormai ridotti nella maggior parte dei casi allo stato di rudere, prima dai viaggiatori romantici, poi dagli appassionati di arte e antichità, fin dal secolo scorso sono stati oggetto-soggetto di illustrazioni, descrizioni, ricerche. Dalle immagini analitiche e quanto mai preziose di miss Fortescue alle trasfigurazioni sublimi di Turner, alle attente descrizioni dell'Aubert o a quelle più poetiche di Giacosa, tramite le immagini a stampa del Gonin o della Cornagliotto da un lato, o tramite le prime foto degli Alinari o di Ecclesia, i castelli valdostani si sono progressivamente imposti all'attenzione fino ad occupare un loro spazio costante su quei piccoli indici di gradimento dell'immaginario collettivo che sono le cartoline illustrate. A dispetto dell'attenzione dedicatagli anche sul piano della ricerca fin dagli ultimi decenni dell'Ottocento, dai D'Andrade, Avondo, Nigra e poi ancora dai Frutaz, Boson, Zanotto, i castelli valdostani sono però un soggetto di analisi tutt'altro che esaurito. Nonostante le pubblicazioni correnti continuino a proporre più o meno sempre gli stessi dati, riassunti nella maniera più efficace proprio da Zanotto ormai un quarto di secolo fa, i nostri livelli oggettivi di conoscenza al riguardo sono molto mutati e cresciuti in questi ultimi due decenni, anche se, va detto, non si dispone ancora di pubblicazioni ufficiali organiche e sistematiche sull'argomento». Già, il mio amico (o "amica", visto che decise negli ultimi anni di considerarsi donna) André Zanotto, purtroppo piuttosto dimenticato e questo è grave e mostra una comunità valdostana con scarsa memoria per chi l'ha illustrata. Ma torniamo ai castelli, spesso oggetto di interventi molto lunghi con campagne di restauro che agli occhi profani sono parsi infiniti. È vero che i tempi dei cantieri regionali sono spesso eccessivi. Ricordo - come deprimente comparazione - che i trentuno chilometri della ferrovia fra Aosta e Pré-Saint-Didier vennero realizzati in due anni, dal 1927 al 1929, quando iniziò l'esercizio... E' il caso del suggestivo castello di Aymavilles, che dopo anni di attesa dovrebbe essere aperto al pubblico tra due anni e che è in questi giorni visitabile in anteprima. Quanto ho fatto anch'io, sapendo come lo stesso Orlandoni - nello stesso articolo citato - segnali l'importanza dei restauri avvenuti per capire come si siano succedute nel tempo le trasformazioni del maniero. Partendo - scusate il vezzo - dall'epoca di antica, quando una "Bolla papale" evocò una cappella che dimostra i legami con i Canonici Lateranensi della mia Verrès. In sintesi ricorda il sito lovevda: "Il castello di Aymavilles sorge al centro del paese, su un rilievo morenico. Le quattro torri cilindriche, caratteristiche dell'edificio, furono aggiunte al preesistente corpo centrale da Aimone di Challant, a metà del Trecento. Verso il 1730, il barone Giuseppe Felice di Challant ricavò i loggiati tra le torri ed eliminò molti apparati difensivi, dando agli interni un aspetto barocco. Dopo l'estinzione della famiglia Challant, il castello passò nelle mani di diversi proprietari. Acquisito nel 1970 dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta, il castello è attualmente oggetto di un intervento di restauro e valorizzazione volto a renderlo fruibile al pubblico". Già l'intervento, svolto con fondi comunitari e dovrebbe essere ripetuto ai quattro venti in epoca di disprezzo di troppi chiacchieroni verso l'Europa. Quel che ho capito è che i lavori in corso, oltre ai restauri necessari (negli interni e nel giardino), sono serviti a meglio capire le sovrapposizioni nelle diverse epoche secondo gusti e stili (con valorizzazione degli affreschi cosmopoliti), metteranno in valore la parte museale del patrimonio dell'ottocentesca "Académie Saint-Anselme", che ha riunito molte generazioni di savants valdostani. Tutto bene, ma ci vuole la rete dei castelli!