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24 giu 2018

La mia vita con la Radio

di Luciano Caveri

La magia della Radio mi ha conquistato da ragazzo e, anche quando facevo altro in politica con ruoli elettivi, è rimasto un legame che non ho mai abbandonato, come se fosse un mio destino averci a che fare. Tutto deriva da una semplice fortuna: ogni generazione può avere la chance di assistere a qualcosa di nascente e mentre un tempo - quando per millenni le cose avanzavano lentissimamente - si trattava di rare innovazioni, chi oggi viaggia - ahimè - verso i sessant'anni può dire di essere stato spettatore e talora persino protagonista di centinaia di cose che hanno cambiato la nostra vita. Fra queste io ho vissuto il ciclone della liberalizzazione dell'etere e la possibilità connessa, da ragazzo, di sperimentare prima la Radio e poi la Televisione e successivamente - prima di ventidue anni di aspettativa per mandato politico - di farne il mio mestiere diviso, come solo nelle sedi regionali "Rai" può avvenire, proprio fra Radio e Televisione.

Per altro, in diverse emittenti radiofoniche, ho sempre mantenuto piccole rubriche che mi consentissero di sentirmi in esercizio e mantenessero intatto quel piacere di mettersi di fronte ad un microfono per dire qualcosa, senza quelle distrazioni che la televisione può dare con l'immagine in tutte le salse. In Radio la tua voce e le cose che dici quando parli restano l'elemento centrale. E' sempre valido quanto detto su questa magia dal solito sociologo canadese Marshall McLuhan: «La radio, come qualunque altro medium, ha un suo manto che la rende invisibile. Ci si presenta apparentemente in una forma diretta e personale che è privata e intima, mentre per ciò che più conta è una subliminale stanza degli echi che ha il potere magico di toccare corde remote e dimenticate». Questo mi piace molto e cerco di trasmetterlo ancora ora quando - in genere una volta la settimana - lo faccio ancora, lasciando da parte per un attimo in questo spazio le responsabilità del palinsesto della piccola e singolare Struttura di programmazione radiotelevisiva della Valle d'Aosta a cui sono tornato dal 2009. Da oggi, per quattro settimane, intensifico l'impegno trasmettendo - come avviene ogni estate - tutti i giorni, tranne la domenica. E' una trasmissione, nella mia impostazione - perché in Radio ognuno lascia la propria impronta, buona o cattiva che sia - che si occupa di tante cose in un'oretta di impegno in uno spazio ricavato staccandosi fra le 12.30 e le 13 e fra le 13.30 e le 14 nella programmazione di RadioUno. Peccato che per ora siamo "prigionieri" di una diffusione solo in FM e sul digitale terrestre della Televisione perché la presenza di uno streaming e dei podcast sul Web consentirebbe di certo di allargare un pubblico che ci potrebbe ascoltare da qualunque luogo, annullando - questa è stata davvero una novità interessante - la territorialità anche della radio più piccola al mondo ascoltabile sulle Alpi svizzere come in Papuasia. Cosa racconterò? La Radio vive di due grandi protagonisti: le persone che raccontano le loro storie e credo moltissimo nell'arte maieutica dell'intervista, che è un gioco interessante di svelamento di fatti, circostanze e caratteri; e naturalmente la musica senza la quale le sole voci possono stancare e può agire da rafforzamento dei tempi o da contrappunto. E' un gioco quello di miscelare gli elementi che avviene - nella logica della diretta, che è il vero cuore pulsante della Radio - sul filo dei minuti e della capacità di non annoiare in un periodo in cui anche la sopportazione dei tempi è profondamente cambiata, perché la tendenza irreversibile sta nella sveltezza che rende tutto più breve. Devo dire che si esagera persino con ritmi sincopati che creano pure una vaga ansia e la nostra programmazione valdostana resta una sorta di isola felice di una Radio che non è vintage o sorpassata, ma tiene conto di ritmi più umani e di certo meno urlati. Da oggi, insomma, mi diverto e ritrovo quel ragazzino liceale che faceva la Radio con ingenuità e sfrontatezza convinto che fosse un segno di quella libertà in cui credo ancora oggi. Senza certo immaginare che 45 anni dopo avrebbe ritrovato quello stesso desiderio di comunicare e spero con l'immutata freschezza per farlo, pur con le tante cose intervenute nel mezzo e questo in fondo è il bello della vita: perdere e ritrovare pezzi della propria esistenza.