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19 mag 2018

Ricordi elettorali

di Luciano Caveri

Vedo persone sostare di fronte ai cartelloni elettorali e scrutare simboli e soprattutto le foto dei candidati. C'è anche chi è fermato, nottetempo, per strappare i manifesti di MOUV' in maniera seriale e trovo sia come una medaglia sul campo di battaglia. Resta un fatto consolante che ci sia ancora un pochino di tradizione in campagna elettorale, che pure ormai ha nei nello sfruttamento delle potenzialità del Web uno dei grandi giacimenti. Anche se, o nei "social" si metterà ordine, cacciando anonimi e cafoni patentati, o butteremo via questa logica che è stata piena di prospettive dell'Agorà digitale. A poco più di trent'anni dalla mia prima campagna elettorale, mi viene da sorridere a pensarci ed esprimo la mia massima solidarietà per i candidati in lizza nelle diverse liste.

Per chi è già rodato nelle campagne elettorali c'è poco da dire: conoscono già la lunga rincorsa del mesetto di campagna elettorale, mentre per i neofiti - lo vedo con la bella squadra dei 35 di MOUV' - è un'esperienza piuttosto impegnativa, specie per chi la piglia sul serio. Visto dall'esterno tutto sembra facile, ma in effetti sconvolge abbastanza la routine e le abitudini. Penso ai comizi, vecchio arnese della politica, che si fanno ormai più per abitudine e per rispetto alle diverse comunità che per reale utilità e che quest'anno - a conti fatti - sentono ancora di più l'usura del tempo, l'incazzatura popolare verso la politica che va da una manifesta indifferenza ad un'evidente ostilità con una gamma intermedia di sentimenti mica da ridere. Trovarsi a parlare in pubblico è un cimento, pensando poi che nella nostra scuola nessuno ti insegna a farlo, per cui è come un esperimento sociologico vedere come ognuno si attrezzi di fronte a questa necessità. Chi con foglietti su cui guardare le cose, chi memorizzando l'intervento, chi sfidando la sorta andando a braccio. Ognuno ha il suo stile ed emerge naturalmente chi dimostra doti naturali e - questo è il mio consiglio per i novellini - è breve nel suo intervento e cambia in parte l'impostazione del discorso a seconda di dove ci si trova. Personalmente ammiro tutti, perché in epoca di disimpegno buttarsi è sinonimo di coraggio e di impegno civico, al di là del risultato finale, quando avviene la conta. Mi ricordo i miei primi comizi nel 1987: ero un ganzo del video e del microfono, ma trovarsi a parlare di fronte ad un pubblico - dal baruccio della frazione sino al teatro "Giacosa" di Aosta colmo di persone - era altra cosa. A metà della campagne elettorale mi venne consigliato di buttare i miei appunti e di lanciarmi nell'acqua gelida di affidarsi all'improvvisazione, che poi solo dopo molti anni divenne tale. Parlare all'impronta riesce bene solo avendo qualche capacità e soprattutto conoscendo bene di che cosa si parla e questo presuppone preparazione e studio degli argomenti, altrimenti si rischia di parlare, magari bene stilisticamente, ma senza quei contenuti che sono necessari per riuscire a catturare la platea. Poi con gli anni si può acquisire sicurezza ed a me, alla fine, è toccato intervenire in assemblee di vario genere e certo più elevato il grado difficoltà vissuto e più si acquisisce sicurezza in occasioni meno impegnative sotto il profilo emotivo, ma il rispetto per il pubblico significa parlare con lo stesso impegno a quattro persone a Chamois che nella plenaria del Parlamento europeo. Ricordo con divertimento alcune "invenzioni" delle prime campagne elettorali: tipo l'invio a tutti i diciottenni di un'audiocassetta (giuro!) con la mia voce registrata con un appello al voto oppure il "numero verde" chiamabile gratis con il sottoscritto che rispondeva dal vivo per non dire dei comizi con diretta televisiva sulle emittenti locali. Ho un episodio che mi diverte ancora oggi. Con l'operatore Luciano Joris, mio collega alla "Rai", girammo con la sua videocamera personale, alcuni spot televisivi assieme al Senatore César Dujany, mio partner in quelle elezioni, in mezzo ai meleti in fiore a Gressan. Si trattava a quel punto di rivedere la registrazione e Luciano ci disse che avremmo potuto farlo da Peppino Camandona, suo zio e storico impresario di pompe funebri, per altro fornitore della mia stessa famiglia in occasioni luttuose. Suonammo alla porta di casa e fu la moglie a riceverci con grande cortesia in salotto, offrendoci il caffè. Finiti i convenevoli, fui io a dire: «Saremmo qui per vedere una cassettina». La signora Camandona andò dritta verso una chiave appesa al muro e ci accompagnò nel magazzino vicino, quello dove erano esposte vari tipi di bara. Il terribile equivoco fra la "cassetta magnetica" da vedere e la "cassa da morto" emerse in tutto il suo fragore! Inutile dire che ne ridemmo a crepapelle! Il mio battesimo del fuoco in quelle elezioni difficilissime, come quelle successive del 1992, fu un'esperienza bellissima e devo dire che anche oggi seguo con passione le vicende elettorali, convinto come sono che la democrazia funziona solo se si riesce ad accendere qualcosa nell'animo dei cittadini. Anche se - confesso - non è facile quando le cose vanno male e un senso generale di sfiducia nella democrazia dilaga. Non aiuterà di certo a rinverdire le sorti della democrazia rappresentativa il mostro politico che sta nascendo a Roma con il Governo a trazione leghista e grillina, che fa venir voglia di andarsene via, altrove.