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21 dic 2017

Il regalo e il dono

di Luciano Caveri

Si avvicina, come si diceva un tempo «a passi lunghi e ben distesi», il Natale. E' tempo di scegliere che cosa regalare alle persone care e devo dire che è più facile sbagliare che azzeccarci. Sono giunto perciò alla determinazione che convenga, per evitare la faccia delusa di chi scarta un pacchetto con dentro qualcosa che non piace in quel millesimo di secondo che disegna una smorfia sul suo volto, farsi dare un elenco di eventuali necessità (mia moglie mi manda dei link a prova di tonto), captare dai discorsi che cosa potrebbe piacere oppure - più prosaicamente - comprare tenendo lo scontrino, magari dove si conosce, affinché il ricevente possa cambiare in favore di qualcosa di suo gusto.

Per altro io stesso preferisco, con chi è intimo, fare una specie di vaga ordinazione per evitare di vendere poi su "eBay" l'oggetto, come mi capitò con un drone di cui non sapevo esattamente cosa fare. Mi è già capitato di ricordare come il termine "regalo" venga dal verbo "regalàre" (secolo XV), che vuol dire "donare". E' un prestito all'italiano da altre lingue romanze: dallo spagnolo "regalar, lusingare, far doni", in origine "festeggiare, far accoglienza" e dal francese "régaler - offrire un festino". Va detto, invece, come in italiano sia usato in modo diverso e lo vedremo il termine "dóno" (1278), nel senso appunto di "regalo, omaggio", dal latino "dōnu(m)", dalla stessa radice di "dăre", nel senso di "ciò che è dato".
"Régal" in francese,nel senso di "dono", è sparito, mentre appunto resta vivo il verbo "régaler", nel significato generale di "offrir quelque chose à quelqu'un, agir de façon à lui plaire". In francese si è affermato "cadeau", che sarebbe: "présent, objet que l'on offre à quelqu'un sans rien attendre en retour ou dans l'intention de lui être agréable". L'origine della parola è assai curiosa: "Le mot "cadeau" vient du provençal "capdel", qui vient lui-même du latin "caput": la "tête", et par extension le "chef". Au XVIIème siècle, le mot "cadeau" désignait une fête galante offerte à une dame et, par extension, il a pris son sens actuel: ce que l'on offre à quelqu'un pour lui faire plaisir. Ce mot "cadeau" vient du latin populaire "capitellus" dérivé de "caput, tête"; il a désigné la lettre capitale jusqu'au XVIème siècle, puis des paroles superflues enjolivant un discours, puis un divertissement offert à une dame et enfin le présent. C'est à la fin du XVIIIème siècle que ce terme a pris le sens qu'il a aujourd'hui". Complicatissimo, ma fa capire la profondità delle parole. Marcel Mauss, antropologo francese è stato autore del celebre "Saggio sul dono", libro diventato celebre e vera pietra miliare della antropologia culturale. In questo saggio Mauss descrive la socialità del dono nelle società arcaiche e primitive. Tre le caratteristiche fondamentali del dono: "dare, ricevere, ricambiare" e mostra come i tre fondamenti del dono fossero essenzialmente obbligatori all'interno delle comunità primitive da lui studiate. Si deve "dare" per mostrare la propria potenza, la propria ricchezza; si è nell'obbligo di "ricevere", cioè non si può rifiutare il dono, pena la scomunica della comunità ed il disonore; si deve "ricambiare", cioè restituire alla pari o accrescendo ciò che si è ricevuto: restituire meno di ciò che si è ricevuto è un'offesa al donatore. Nel "Saggio sul dono" si mostra quindi come gli individui delle società arcaiche fossero obbligati a donare. Il dono non è quindi pratica libera, è un obbligo sociale, è un vincolo comunitario, non è liberalità del singolo, non è disinteresse. L'obbligo al dono è indotto innanzitutto da vincoli comunitari e di onore, chi non partecipa al rito del dono, chi non è nella capacità di reperire e possedere oggetti da immettere nel circolo del dono è soggetto alla esclusione dal gruppo. Certi automatismi, consci o inconsci, pesano da allora sui nostri comportamenti. Anche se il concetto di dono si fa nel rifletterci più complesso, come ha scritto, anni fa, su "La Stampa", Enzo Bianchi, celebre fondatore della "Comunità di Bose", che Papa Francesco avrebbe voluto diventasse Cardinale: «Donare significa, per definizione, consegnare un bene nelle mani di un altro senza ricevere in cambio alcunché. Bastano queste poche parole per distinguere il "donare" dal "dare", perché nel dare c'è la vendita, lo scambio, il prestito. Nel donare c'è un soggetto, il donatore, che nella libertà, non costretto, e per generosità, per amore, fa un dono all'altro, indipendentemente dalla risposta di questo. Potrà darsi che il destinatario risponda al donatore e si inneschi un rapporto reciproco, ma può anche darsi che il dono non sia accolto o non susciti alcuna reazione di gratitudine. Donare appare dunque un movimento asimmetrico che nasce da spontaneità e libertà. Perché? Possono essere molti i tentativi di risposta, ma io credo che il donare sia possibile perché l'uomo ha dentro di sé la capacità di compiere questa azione senza calcoli: è "capax boni", è "capax amoris", sa eccedere nel dare più di quanto sia tenuto a dare. E' questa la grandezza della dignità della persona umana: sa dare se stesso e lo sa fare nella libertà! E' l'homo donator». Difficile? Può darsi, ma certi ragionamenti fondano quell'aspetto umanitario ed evangelico che il Natale di oggi sembra mettere in ombra.