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21 dic 2019

Aspettando Natale

di Luciano Caveri

Eccoci all'ultima settimana prima del rush finale in vista del Natale 2019. Si tratta di una specie di performance, che ha aspetti impegnativi per le molte incombenze che si accumulano alla fine di un anno. Ognuno di questi tempi ha il proprio stato d'animo ed io racconto il mio in questi ultimi giorni da "conto alla rovescia" dell'Avvento. Personalmente l'attesa resta il momento più bello, perché poi le festività si spengono in fretta, nel breve volgere di poche ore. Ma i giorni precedenti sono fitti fitti: si scambiano gli auguri, si fanno festicciole varie (i maschi di casa mia hanno tre compleanni in sequenza 16, 25 e 28 dicembre), si scelgono i regali ad personam, si pensa ai menu delle varie cene. La famosa relatività del tempo si esprime nella sua pienezza, rendendo tutto più veloce e Natale è come un flash il giorno canonico.

Penso anche alle trasmissioni natalizie radiotelevisive in costruzione di cui mi sto occupando (sarò in radio in diretta il 24 sulle frequenze di "RaiVd'A - Radio1" il 24 ed in televisione il 23, 24, 25, 26 e 27 dicembre alle ore 20), che sono leggere come l'elio dei palloncini, perché tutto si realizza sulle ali dell'entusiasmo. Ricordo una bella frase dell'antropologo Claude Lévi-Strauss: «Ce n'est pas seulement pour duper nos enfants que nous les entretenons dans la croyance au Père Noël : leur ferveur nous réchauffe, nous aide à nous tromper nous-mêmes». So bene che ci sono incombenti o meglio ben presenti i rischi della retorica, della melassa, del posticcio e tutto quanto di artefatto e squisitamente commerciale attornia il Natale. L'"essere buoni" è un prezzemolo che rischia di guastare l'intimità della festa, trattandosi di un manifesto così difficile da realizzare da essere un'affermazione che finisce infine nella scatola degli addobbi e delle luci natalizie. Eppure devo dire che mi viene da ripensare a quell'espressione, comandamento antico, "Amerai il prossimo tuo come te stesso", per nulla facile da concretizzare. E devo dire che, nella quotidianità del lavoro, capita di incontrare storie interessanti. Per radio ho fatto un giro di programmi attorno a volontari e terzo settore e le maggiori emozioni sono venute da persone - malati, familiari, volontari - che si occupano di gravi malattie come i tumori, gli ictus, la sclerosi multipla, l'Alzheimer o di dipendenze varie che rovinano la vita alle persone ed a chi sta loro vicino. Sono storie di dolore, di solitudine, di attesa, di complicazioni e di tutti gli altri sentimenti umani che nascono dalle difficoltà della vita. Trovo che nel mio mestiere di giornalista l'intervista - ormai spesso adoperata per pigrizia da chi non sa scrivere - abbia invece una valenza straordinaria, a condizione che tu riesca a scavare nelle persone e nelle loro storie. Capita così di entrare nella vita degli altri e questo finisce per arricchirti umanamente e per relativizzare i tuoi guai non in una logica consolatoria che sarebbe poca cosa, ma si dimostra un arricchimento che deriva dalla condivisione di emozioni e sentimenti. Non voglio fare il predicatore perché non è il mio mestiere, ma ho molto rispetto per tutti coloro che - e siamo tutti noi in certe circostanze a sederci su questa sedia per noi o per le persone care - anche in questi periodi festivi per enfasi si trovano in situazioni difficili. Forse è questa la vera carica presente nel Natale e nei suoi significati: dare uno sguardo ai nostri momenti felici, come straordinaria riserva di energia e di speranza, ma volgere anche lo sguardo non solo alla povertà in senso lato, che fonda oggi una parte della ricerca del consenso elettorale sfruttando la fragilità più che combattendola, ma avendo un sorriso e un sostegno per chi si trova ad un tornante della propria vita che a tutto fa pensare ma non certo alla gioiosità del Natale.