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17 ott 2017

La cruda situazione valdostana

di Luciano Caveri

Tutto giusto, per carità! La situazione della Valle d'Aosta attuale preoccupa sotto diversi profili e se certo si può vivere anche facendo finta di niente (ho amici che stanno da tempo in una sorta di bolla, come fossero sulla stazione spaziale "Iss"), personalmente non ci riesco. Sarà che, avendo strumenti comparativi con altri momenti vissuti o studiati, certi argomenti spinosi non innescano solo una reazione emotiva a caldo ma provocano un senso di apprensione assai concreta per il futuro per via della conoscenza razionale dei rischi connessi. L'Autonomia Speciale sembra essere per alcuni - qui da noi e soprattutto fuori - come un capo di vestiario liso, che rischia di finire nel bidone della spazzatura.

A ben pensarci si passa ormai - negli incubi peggiori - da un declassamento a Regione ordinaria sino alla situazione limite di diventare una vallata dipendente dall'Area metropolitana di Torino con il cessare di molti servizi per i cittadini, con la fine di fatto della forma pur imperfetta di autogoverno statuita dal 1945 in poi. C'è da aggiungere, come strangolamento, l'impoverimento dell'economia, che innesca una riduzione crescente del riparto fiscale con un'inversione di tendenza choc rispetto agli anni precedenti. La stessa identità culturale, cambiata nel tempo da sempre com'è naturale che avvenga, è alla ricerca di nuovi equilibri su cui bisogna essere realisti, verrebbe da dire - se valesse ancora anche questo - da buoni montanari. La società invecchia per via della crisi demografica, che fa crescere l'età media della popolazione e aumenta il numero di "grandi vecchi" in circolazione. Questa situazione, in più, si riverbera su alcuni dei 74 Comuni della Valle che sono ormai abitati davvero - tolte le residenze "affettive" - da qualche decina di persone e dunque rischiano la morte civile per asfissia. Per non dire come contribuisca a questo impoverimento di risorse umane l'emorragia di giovani che, talvolta perché obbligati e non per scelta, vanno a lavorare fuori Valle senza più rientrare. La Natura della montagna muta per via del "climate change" e questo innesca preoccupazioni che vanno dall'assetto idrogeologico (frame, alluvioni e altre cose così) alle risorse idriche in calo con la riduzione dei ghiacciai ed il pericolo della loro scomparsa, ma vi sono riflessi seri anche sul turismo, pensando allo sci e al suo indotto. Settori importanti per il territorio, come l'agricoltura, arrancano e si assottiglia il numero di imprese in settori un tempo vitali come l'allevamento. Così vale per l'industria, caposaldo un tempo e ormai in continuo calo. L'abbandono scolastico e l'imbarbarimento di alcune scuole alla mercé di giovani demotivati colpiscono duro e grandi speranze come l'Università rischiano di infrangersi contro scelte poco chiare per il futuro. In politica va detta la verità, i rapporti con Roma non vanno, la presenza a Bruxelles è al minimo storico e la Valle è assente da grandi dibattiti sull'Autonomismo ed il Federalismo un tempo filone ricco, così come dossier in cui eravamo protagonisti sono finiti nel cassetto. Esempi: dalla "Euroregione Alp Med" su cui grava disinteresse alla francofonia mondiale che ha quasi cancellato la Valle, dall'Euroregione alpina di cui una volta si era protagonisti alla rete delle minoranze linguistiche europee di fatto abbandonata, dai temi della Montagna messi in terzo piano ai circuiti culturali pian piano dismessi. La politica locale - basta entrare in un bar o stare in una sala d'attesa - raccoglie oggi con rari distinguo il disprezzo di molti cittadini e il rischio vero è che in tanti si disamorino non solo dei politici, che possono essere dismessi con il voto (se si partecipa!), quanto di alcuni valori autonomistici che, se sprecati, possono dissolversi nella coscienza comune. Un esempio solo di tipo istituzionale: il Consiglio Valle non esercita più quel potere che deriverebbe dallo Statuto, essendo al traino dell'Esecutivo con un ruolo predominante del presidente della Regione, per quanto il nostro resti un regime parlamentare e non presidenziale. Ricordato che nulla di tutto ciò è caduto dal cielo come un meteorite, aggiungo solo che all'astensionismo o al voto populista si aggiunge anche il numero crescente di chi, pur avendo doti preclare per lavorare per la comunità in posizioni istituzionali, decide - lasciando così spazio a persone meno meritevoli - di non esserci per privilegiare il proprio "particulare" proprio come rigetto ad una politica intesa come furbizia manovriera con annunci a getto continuo a rischio letale di sovraesposizione. Eppure - prendetemi pure per matto - resto convinto, magari intriso di ingenuità, che il quadro complessivo può essere modificato, affrontando problema dopo problema, proprio se le energie migliori avranno la capacità di far cessare disimpegno e delusioni. Bisogna mettere a disposizione il proprio patrimonio di idee e di esperienza e, nel caso dei giovani, di energia e di visione nuova e diversa delle cose. Ci sono stati nella Storia valdostana periodi peggiori in cui - senza dare alla democrazia una visione "oligarchica" - anche un numero limitato di persone sono servite come carburante per ridare fiducia alla comunità e per la messa in sicurezza e il rilancio di fronte a difficoltà che sembravano essere insuperabili. Certo, la soluzione non è fare e disfare alleanze.