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10 ott 2017

Il tramonto delle monarchie

di Luciano Caveri

Un vantaggio di ogni avvenimento, che si suppone possa diventare un pezzo per futuri capitoli nei libri di storia, sta nel fatto che non va mai preso come elemento isolato, ma finisce per essere un tassello di un disegno ben più vasto. Mi e capitato di ricordare da dove viene, essendo spesso citato in questo contesto, il cosiddetto "effetto farfalla". Fu il meteorologo del "Mit" di Boston, Edward Lorenz che, nel 1972, intervenendo a un convegno, esordì affermando: «Può il battito d'ali di una farfalla in Brasile generare un uragano in Texas?». La risposta, positiva, derivava dalle sue simulazioni al calcolatore dell'evoluzione temporale di un sistema atmosferico.

A leggere la storia dell'espressione, che appare poetica ma ha i piedi ben piantati per terra, si risale più indietro e già nel 1950 il matematico Alan Turing, in "Macchine calcolatrici ed intelligenza", aveva avanzato un ragionamento simile: «Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l'uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza». Fa venire i brividi pensarci, visto che a tutti sarà capitato per un soffio di evitare il peggio in qualche circostanza. Posso dire per tornare all'inizio come il "caso Catalogna" potrebbe essere definito la "farfalla" dell'indipendentismo. E comunque lo si valuti, pro o contro, agirà molto in prospettiva, con un effetto vasto, sul destino dei sistemi politici, in primis il famoso Stato Nazione, ma non solo e mi riferisco anche alle future geometrie dell'integrazione europea. Quando ho visto il discorso anticatalano del Re di Spagna Felipe Juan Pablo Alfonso de Todos los Santos de Borbón y Grecia - che di numero fa VI - ho pensato per un attimo che potesse essere una riuscita parodia del solito Maurizio Crozza, che lo prendeva per il naso. Invece e purtroppo era l'originale in carne ed ossa con la scelta sciagurata di rompere più che di ricucire e ciò non gli porterà fortuna, perché penso che toccherebbe a un Re essere un elemento di garanzia che affronti con equidistanza momenti difficili del suo Paese. Dìaltra parte - come peccato originale - i Borbone tornarono a regnare grazie a Francisco Franco e dunque l'impronta è rimasta quella dell'ultima dittatura di stampo fascista caduta in Europa. I catalani per altro sono sempre stati in larga maggioranza a favore di una Repubblica, dunque il Re non a caso ha fatto un discorso nazionalistico a favore degli altri sudditi, considerando i catalani - che lo hanno contestato in occasione di certe sue sortite a Barcellona - come dei nemici potenziali e questo svilisce la sua figura. Ma questo dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che le monarchie sono sul Vecchio Continente una storia ormai anacronistica e che non ha alcun significato. Anche in Valle d’Aosta ci sono nostalgici vecchie e nuovi dei Savoia: ho amici che andarono fino a Cascais a trovare nell'esilio portoghese sull'Atlantico Umberto II, "Re di Maggio", che firmò il decreto luogotenenziale che diede la prima forma di Autonomia valdostana, a chiusura di un millenario sodalizio della Valle con Casa Savoia. Storia chiusa appunto con il referendum "Monarchia - Repubblica" del giugno 1946 con il 63,47 per cento dei valdostani che affossarono i Savoia, compromessi dal Fascismo. Ancora oggi qualche valdostano frequenta Ginevra, dove abitano gli eredi al trono che non c'è più, ma è solo più folklore ed il brivido del tempo che fu con personalità tipo Emanuele Filiberto di Savoia, finito a fare la gara a "Ballando sotto le stelle". Penso che tornasse in vita il suo omonimo cinquecentesco Emanuele Filiberto di Savoia, detto "Testa 'd Fer" ("Testa di ferro"), ben visibile a Torino nel monumento equestre e guerresco in piazza San Carlo, lo prenderebbe a calci nel sedere, visto che il giovane erede balla il tango col casqué nel nome della dinastia. Anche se la Monarchia nella vecchia Europa, non solo comunitaria, vivacchia in una logica museale piuttosto grottesca, che stride ormai con i tempi e forse piace solo più a certi nostalgici che l'apprezzano come si fa con pezzi d'antiquariato. Eppure ci sono Re o simili in Paesi molto diversi fra loro: si va dal Belgio alla Gran Bretagna, passando da Svezia e Danimarca, fino a Norvegia e Paesi Bassi. Poi appunto la Spagna, di cui abbiamo detto, assieme a dei piccoli: Liechtenstein, Lussemburgo, Monaco e - con ordinamenti particolari - Andorra e Città del Vaticano. In caso di soppressione delle istituzioni reali - con l'eccezione della singolare figura del Papa - tutti sopravviverebbero con qualche danno per il turismo e con un lutto perenne di quei settimanali di cronaca rosa che ancora campano con matrimoni, lutti, amori e scandali delle teste coronate che piacciono tanto alle "casalinghe di Voghera". Per il resto, in punta di Diritto costituzionale e non di gossip, con una Repubblica si campa senza problemi e dunque un giorno verrà in cui i residui monarchici finiranno per sempre nella memoria per restarci. E, come un reperto, qualcuno riderà ascoltando Enzo Jannacci con testo di Dario Fo: «Dai dai, conta su... ah beh, sì beh...

  • Ho visto un re.
  • Sa l'ha vist cus'e'?
  • Ha visto un re!
  • Ah, beh; sì, beh.
  • Un re che piangeva seduto sulla sella piangeva tante lacrime, ma tante che bagnava anche il cavallo!
  • Povero re!
  • E povero anche il cavallo!».