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28 ago 2017

Morale pubblica e moralità personale

di Luciano Caveri

La politica non si ferma più neanche in Agosto, mettendo in crisi la stampa rosa infarcita di gossip un tempo regina delle vendite per letture leggere nell'ozio nel cuore dell'estate. In effetti il retroscenismo della politica - fatto di pettegolezzi e scoop a scoppio ritardato - somiglia nella sua vacuità alle storie delle case reali e e degli amorazzi estivi, che un tempo facevano la fortuna sulle copertine "Novella 2000", oggi in crisi nera. «La morale pubblica non è che un riflesso della moralità personale di ciascuno di noi». Proporrei di scolpirla in ogni assemblea elettiva come ammonimento contro le tentazioni e come richiamo per chi non ha una moralità personale da riversare nel suo impegno pubblico ad insaputa dei suoi elettori o - peggio ancora - con elettori che lo sanno, diventando complici di un'indecenza.

Non sono un particolare fan di Alcide De Gasperi, che è stato certamente uno statista di grande rilievo, ma questa frase, pronunciata nel 1954 e dunque nello stesso anno della sua morte, quando di fatto era uscito di scena, ha un suo valore. Preciso che i dubbi su De Gasperi - trentino prima deputato a Vienna e poi protagonista della politica del dopoguerra a Roma - riguardano il suo ruolo rispetto alla "questione valdostana" (sua la responsabilità per certi "buchi" nella nostra Autonomia e per ritardi letali nella sua applicazione nei primi anni del dopoguerra) e anche alle vicende sudtirolesi. Furono proprio questo ultimi che segnalarono per primi l'inopportunità di una beatificazione di De Gasperi, di cui si parlò anni fa. Ma il tema del rapporto fra pubblico e privato resta interessante e riguarda, secondo me, quegli aspetti di onestà, che sono da sempre al centro del dibattito rispetto al comportamento dei politici. So bene che nella vulgata popolare chiunque abbia o abbia avuto incarichi pubblici non si salva da una pubblica condanna, che mette nello stesso mazzo tutti, indiscriminatamente. Che dire? Basta essere a posto con la propria coscienza. Era Charlie Chaplin che diceva: «Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro». Ovviamente la coscienza bisogna averla per sentirla, oppure vale quel che diceva Leo Longanesi: «Quando suona il campanello della loro coscienza, fingono di non essere in casa». Ma esiste un'altra citazione - da me già usata nel tempo - che si deve allo stesso Alcide De Gasperi, che diceva: «Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione». Questa discrasia, che indebolisce la democrazia, diventata per alcuni la trasformazione dei cittadini solo in votanti, sopraffatto dalla spasmodica ricerca di consenso che - con l'aiuto dei "social" e di un'informazione usa e getta - diventa una fissazione che valorizza l'effetto annuncio e genera promesse di marinaio. Tutte "qualità" che cozzano con impegni di lunga gittata, avendo le bugie le gambe corte. Intendiamoci: nessun politico può pensare di essere statista e dunque quella di De Gasperi era un'iperbole, ma resta il fatto evidente che la prospettiva di profondità nel tempo - a beneficio di chi verrà - dovrebbe essere la regola.