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22 lug 2017

La devozione popolare lontana e vicina

di Luciano Caveri

La devozione popolare appartiene ad un filone ricco di umanità e la si scorge visitando i luoghi di culto di tutto il mondo, a qualunque religione appartengano. L'ho visto di recente in Oriente, dove - nell'isola indonesiana di Bintan nel Mar Cinese meridionale - sorgono templi dedicati a tutte le confessioni, che convivono - per ora - serenamente. Anche se l'Indonesia comincia ad essere un Paese attraversato dalla violenza dell'estremismo islamista. Dal buddismo al taoismo, dall'Islam al Cristianesimo: ognuno espone a Bintan, nei propri edifici sacri, la storia della propria religione ed i riti conseguenti. Espressione chiara di tutte le culture che si sono succedute, essendo quest'isola situata in modo strategico lungo le rotte commerciali che dall'antichità collegano Cina ed India.

Interessante il luogo di culto dei pescatori con una tigre votiva e un gong che va suonato solo in caso di necessità per allertare la popolazione che vive a due passi su delle palafitte. Straordinario il luogo di devozione buddista con una statua gigante ed oltre quattrocento statue a taglia umana che raccontano le diverse trasfigurazioni. Così come nel parco degli edifici dedicati al confucianesimo ci sono divinità colorate, come un gigantesco drago rosso, fra zampilli d'acqua. Particolare curioso: tutti i pellegrini in visita in questi luoghi simbolo amano farsi fotografare con turisti occidentali, rari in certi tour mistici, per cui la mia foto con fedeli vari figurerà su "Instagram" di chissà chi. Devo dire che, in qualunque Paese io sia, trovo che queste visite nelle chiese, nelle moschee, nei templi, nelle sinagoghe siano una fotografia interessante del mondo cui apparteniamo e non si tratta solo di un turismo religioso, ma di un passaggio essenziale di comprensione dei luoghi e delle persone cui rendiamo visita, fosse anche per un rapido passaggio per non essere turisti chiusi in un asettico resort. Si tratta di immergersi in qualche modo nella vita quotidiana ed è un ragionevole modo per evitare il terribile fenomeno di un turismo "mordi e fuggi" che nulla ti lascia. Ci pensavo in questi giorni, essendo tornato in un luogo che avevo visitato da bambino, portato dalla Parrocchia e lo ricordo ancora, perché il santuario mi impressionò e fu una di quelle giornate memorabili, come possono essere nella memoria le prime gite senza i genitori, quando si è piccoli. Mi riferisco a Plout sulla montagna sovrastante Saint-Marcel. Come per altri Santuari valdostani, dedicati all'antico culto mariano, si è davvero di fronte alla devozione popolare, come dimostra la miriade di ex voto che ingombrano le pareti di questo edificio luminosissimo, per via dell'esposizione al sole, durante il giorno. Leggo sul sito del Comune di Saint-Marcel: «La tradizione racconta che la nascita della devozione verso questo luogo ed in particolare verso la Madonna ("Notre Dame de Tout Pouvoir") si perde nei tempi lontani. Esisteva una volta tra i villaggi di Denchasaz e di Plout una grande roccia formante una caverna nella sua parte bassa. In questa grotta era stata posta una piccola statua della Santa Vergine ("Notre Dame Des Ermites") su di un altarino. L'esistenza della statua è menzionata in documenti del 1560. Gli abitanti di quei villaggi e chiunque transitasse in quel luogo portava rispetto alla statua, inginocchiandosi e chiedendo protezione e aiuto nella vita d'ogni giorno. Bisogna ricordare come la devozione alla "Notre Dame Des Ermites" era molto sentita in Vallle. Tantissimi fedeli valdostani si sono recati nei secoli passati presso il Santuario di Einsiedeln in Svizzera, percorrendo il colle del Gran San Bernardo o attraversando il colle di Saint-Théodule nella Valtournenche, per affidarsi alla protezione della Signora "des Ermites". Essi ne tornavano consolati e pieni di gioia, e amavano portarsi a casa come ricordo di questo loro pellegrinaggio una statuetta o un'immagine della Vergine, come riconoscenza per essere stati esauditi nelle loro preghiere. Si fa quindi risalire ad una statua proveniente dalla Svizzera quella venerata nella piccola grotta della collina di Saint-Marcel». Po si passa la periodo in cui la documentazione si fa più certa: »All'incirca un secolo dopo, nel 1640, si narra che un muratore del posto mentre stava lavorando alla costruzione di un tetto, non lontano dalla grotta, cadde e si ruppe una gamba. Pieno di devozione nella Vergine fece voto di erigere un oratorio in suo onore se fosse guarito. Infatti, ristabilitosi, il muratore tenne la sua promessa e costruì un oratorio ospitante la statua della Signora "des Ermites", con innanzi un fiammella sempre accesa. Da quel momento la devozione verso la Vergine non fece che crescere, portando a Plout tanti fedeli anche dai paesi limitrofi. Con il trascorrere degli anni l'azione corrosiva del tempo si fece sentire sulla struttura dell'oratorio, portando alla decisione nel 1714 da parte dei capifamiglia dei villaggi di Plout, Denchasaz e Rean a decidere per la costruzione di un nuovo edificio sacro, più grande ed idoneo a ricevere convenevolmente la statua della Vergine. Questo progetto fu subito realizzato e tramite atto pubblico, a firma del notaio Mathiou, datato 8 settembre 1715, i capifamiglia sopracitati si impegnarono non solamente a coprire le spese dell'erigenda Cappella Votiva, ma attraverso dei legati alla sua successiva manutenzione ed ornamento. Il 14 settembre dello stesso anno la Cappella fu solennemente benedetta. I devoti alla Vergine di Plout furono sempre in aumento, così come le grazie ricevute, tanto da tramutare il titolo di Signora "des Ermites" a quello di Signora "de Tout Pouvoir". L'antica statua cominciò ad essere un po' piccola in rapporto all'edificio sacro tanto da far sì che nel 1744 il Priore della Collegiata di Sant'Orso, il Reverendo Charles Beltram, offrisse alla graziosa Cappella di Plout una nuova statua della Vergine Benefattrice. Questa presenta ai pellegrini il Bambino Gesù dal volto sorridente assiso sul braccio sinistro, mentre nella mano destra tiene lo scettro, segno del suo "Pouvoir"». Ma non bastava ancora, come si evince dalla cronistoria: «Nel 1850, dopo una visita a Plout, Monsignor André Jourdain, Vescovo di Aosta, giudicando la Cappella insufficiente per contenere, soprattutto nei giorni della festa patronale, la folla di pellegrini provenienti da tutta la Diocesi, e considerando le cospicue offerte raccolte in tutti questi anni, decretò la costruzione di un nuovo edificio sacro più spazioso ed accogliente. La benedizione della prima pietra avvenne il 6 novembre del 1850 da parte dello stesso Vescovo, alla presenza del Parroco locale Jean Barthélemy Porté, di diverse altre autorità Ecclesiastiche, nonché di una grande e commossa folla di "mar-oulèns" I lavori furono affidati all'impresario Jérome Borney di Aosta, il quale tra il 1851 ed il 1853 portò a compimento l'opera: un edificio sacro dalla forma di croce greca con una bella cupola nel mezzo. Il 14 settembre 1853, giorno della festa patronale, si poté infatti inaugurare il Santuario attuale». La cupola in rame in effetti è un tratto distintivo, che rende la costruzione del tutto particolare. Storie molto simili si ripetono per tutti i Santuari e anche le altre chiese hanno storie avvincenti, che alimentano già un turismo culturale che può trovare, nella ricchezza di testimonianze in Valle d'Aosta, elementi di grande interesse. Ma questo vale anche per i valdostani: l'esterofilia diventa una malattia, quando si conoscono luoghi esotici senza conoscere la propria Storia locale.