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12 lug 2017

Prodotto di montagna, ma...

di Luciano Caveri

Ho imparato nel tempo di come un certo numero di Azzeccagarbugli si annidino nelle Amministrazioni, pronti ad esprimere una volontà: la complicazione degli affari semplici ad uso di chi chiede loro soluzioni utili per trovare risposte ai problemi. Anzi, esistono coloro che appiccano incendi - metaforici, ovviamente - per vedere come sono bravi a fare i pompieri! Da giovane deputato, un vecchio volpone della politica italiana mi spiegò quanto fosse meglio scrivere una norma da interpretare con provvedimenti appositi successivamente, meglio se in modo estensivo o comunque per "gli amici" e "gli amici degli amici", piuttosto che scrivere quanto sarebbe invece cristallino nella sua scrittura e applicazione. Io pensavo di essere bravo nel provare a farlo e invece ero considerato dal vecchio deputato un fesso. Esempio: l'Italia, sulla base di un regolamento europeo del 2014, ha normato il marchio - di cui si parla da tempo immemorabile - con la dicitura utile per la vendita, per il suo contenuto evocativo, "prodotto di montagna" da applicarsi, direte voi, ai... prodotti di montagna.

Leggo, invece, il comunicato ufficiale con cui si commenta il provvedimento: "Prodotti di origine animale: l'indicazione facoltativa di qualità "prodotti di montagna" può essere applicata ai prodotti: ottenuti da animali allevati nelle zone di montagna e lì trasformati; derivanti da animali allevati, per almeno gli ultimi due terzi del loro ciclo di vita, in zone di montagna, se i prodotti sono trasformati in tali zone; derivanti da animali transumanti allevati, per almeno un quarto della loro vita, in pascoli di transumanza nelle zone di montagna". Poi comincia il difficile, specie - immagino - per i controlli: "La proporzione dei mangimi non prodotti in zone di montagna non deve superare il 75 per cento nel caso dei suini, il 40 per cento per i ruminanti e il 50 per cento per gli altri animali da allevamento. Questi ultimi due parametri non si applicano per gli animali transumanti quando sono allevati al di fuori delle zone di montagna". Ecco altre tipologie: "Prodotti di origine vegetale e dell'apicoltura: l'indicazione può essere applicata ai prodotti dell'apicoltura, se le api hanno raccolto il nettare e il polline esclusivamente nelle zone di montagna, e ai prodotti vegetali, se le piante sono state coltivate unicamente nella zona di montagna. Ingredienti utilizzati: i prodotti, quali erbe, spezie e zucchero, utilizzati come ingredienti nei prodotti di origine animale e vegetale possono anche provenire da aree al di fuori delle zone di montagna, purché non superino il 50 per cento del peso totale degli ingredienti". Ma eccoci al meglio: "Impianti di trasformazione: in merito alle operazioni di macellazione di animali e sezionamento e disossamento delle carcasse e a quelle di spremitura dell'olio di oliva, gli impianti di trasformazione devono essere situati non oltre 30 chilometri dal confine amministrativo della zona di montagna. Per il latte e i prodotti lattiero caseari ottenuti al di fuori delle zone di montagna in impianti di trasformazione in funzione dal 3 gennaio 2013, viene stabilita una distanza non superiore ai 10 chilometri dal confine amministrativo della zona di montagna". Non ho seguito l'iter del provvedimento, ma quel che salta agli occhi è una storia vecchia come il cucco. Se già appare in Italia tutt'altro che pacifico che cosa sia la "montagna amministrativa", perché nel tempo si è usato un elastico per allargare la perimetrazione a detrimento della montagna vera e propria, figurarsi se poi - come si legge - le norme paiono più interessate a fissare le eccezioni che alle regole stesse. Il ragionamento è sempre lo stesso: chi individua nell'essere in territorio montano qualche forma di vantaggio rosica e invoca la logica confinaria per evitare diseguaglianze e perciò ogni criterio classificatorio più lasso torna utile allo scopo. Quando invece l'uguaglianza nasce per rendere uguali, riferendosi in questo caso ai territori, situazioni di differenza di chances, come avviene appunto per i prodotti di cui parliamo, il cui costo è più elevato per le note ragioni e trova nella sua provenienza un valore aggiunto da proporre al consumatore. Ma, si sa, ci sono più voti in paesi vicini alla montagna che in vallate intere e così avviene che nascono norme ambigue e di rattoppo, che dicono una cosa e poi aggiungono codicilli che ne consentono un uso diverso! Specie se si allarga la platea degli aventi diritto, diminuendo però i vantaggi di chi doveva essere destinatario di una certa misura per una buona causa. Così vale la solita storia: troppa montagna, nessuna montagna. Ma evidentemente il gioco, per chi da tempo percorre questa strada, vale la candela.