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19 mag 2017

La libertà è partecipazione

di Luciano Caveri

Personalmente credo, essendomi sempre occupato di politica anche se ormai ciò sembra essere quasi una colpa nella vulgata dell'antipolitica, trovo che propri i partiti nella loro struttura tradizionale siano decotti e certo la rinascita non passa attraverso i soli leader, che tra l'altro rischiano ormai la durata di un paio di mutande. Quel che ci vuole è un bel punto a capo contro paludamenti, burocrazie e - alla Totò - pinzillacchere ed invece pali e paletti, norme e codicilli rendono la partecipazione una rottura di scatole. Però di questi tempi quel che mi colpisce in particolare, oltre al fenomeno generale di disimpegno, è la mancata risposta al progressivo invecchiamento dei partecipanti, vertici compresi di questi benedetti corpi intermedi. Mi è capitato in certe occasioni di guardarmi attorno e di constatare di essere fra i più... giovani. Situazione paradossale per chi - scriverlo mi impressiona! - si avvicina ai sessant'anni. Esiste una macroscopica evidenza: i giovani spesso latitano e questo crea una serie riflessione sulle ragioni che spingono a non riconoscersi in certe strutture sociali che si inaridiscono. Intendiamoci: il progressivo invecchiamento di una società a crescita zero, fra poche nascite e maggior prospettiva di vita, crea un fenomeno che attiene ad elementari regole demografiche. Per cui con molti più anziani in giro, arzilli e attivi, è chiaro che la loro presenza è, per fortuna, un elemento portante. E si capisce pure l'elemento umano che spesso spinge alcuni di loro a "non mollare" e questo innesca fenomeni di gerontocrazia, che dovrebbero essere regolati dal semplice buonsenso coinvolgere i giovani per la successione. A condizione che ci sia sempre la ragionevolezza di trasferire per tempo le proprie competenze e conoscenza a chi verrà senza troppo preoccuparsi della legittima esigenza di cambiare, laddove necessari, usi ed abitudini, quando non più corrispondenti alla realtà e frutto di semplice conservatorismo. La lotta contro la desertificazione della partecipazione giovanile, punta di un iceberg che è più generale, è necessaria per evitare che il sistema scheletrico di una società scompaia piano piano. Certezze non ne ho, ma forse bisogna stare di più all'ascolto, senza troppi bla bla sociologici, ma siamo avvero ancora capaci a farlo e a sopportare i tempi lenti della riflessione?