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19 apr 2017

Dalla croce alla superbomba

di Luciano Caveri

Tocca ogni tanto ragionare su quanto di profondo ci sia nella nostra vita, così come posta di fronte, da una parte a tutta quella serie di elementi misteriosi delle ragioni della nostra esistenza e dall'altra come questi stessi elementi si applichino a quei processi formativi che formano il nostro modo di essere. Ragioniamo, in sostanza, avendo sempre come elemento di riferimento i modelli culturali che ci hanno forgiato e che sono il nostro punto di riferimento, consapevole o inconsapevole. Trovare le parole per capire come porsi di fronte a Pasqua non nel giorno gioioso della Resurrezione ma in quello cupo della morte del Venerdì Santo. Ogni tanto penso, se davvero esistessero gli alieni, che cosa potrebbero pensare di una religione che si fonda sulla croce, uno strumento di tortura vero e proprio.

Eppure dentro questa storia della crocifissione - fatta di fatica, dolore, paure, ferocia, odio, disperazione - si nascondono tanti sentimenti umani che hanno finito per attraversare il tempo. Mi è capitato in aereo di sorvolare certe zone del Vicino Oriente dove Gesù ha vissuto e di pensare alle molte ragioni nella sua vita che spiegano la risonanza delle sue gesta e nella capacità dei suoi successori di dare non solo eco alle sue parole, ma anche regole e dogmi che ne facessero una religione universale, partendo da un piccolo pezzo di mondo marginale. Mi viene in mente quanto scrisse quella straordinaria scrittrice, Natalia Ginzburg, che nel 1988 pubblicò su "L'Unità" un articolo divenuto famoso, dal titolo: "Non togliete quel crocifisso: è il segno del dolore umano". Così difendeva il simbolo religioso nelle scuole: «Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere atei, laici, quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto "ama il prossimo come te stesso". Erano parole scritte già nell'Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell'indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade. Si parla tanto di pace, ma che cosa dire, a proposito della pace, oltre a queste semplici parole? Sono l'esatto contrario del modo come oggi siamo e viviamo. Ci pensiamo sempre, trovando estremamente difficile amare noi stessi e amare il prossimo più difficile ancora, o anzi forse completamente impossibile, e tuttavia sentendo che là è la chiave di tutto. Il crocifisso queste parole non le evoca, perché siamo così abituati a vedere quel piccolo segno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte del muro. Ma se ci avviene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo segno. Cristo ha detto anche: "Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati". Quando e dove saranno saziati? In cielo, dicono i credenti. Gli altri invece non sanno né quando né dove, ma queste parole fanno, chissà perché, sentire la fame e la sete di giustizia più severe, più ardenti e più forti». Davvero resta qualcosa da aggiungere? Forse solo il fatto che la Pace resta un ideale amaramente distante, pensando che stamattina sui giornali la notizia più importante - ricca di particolari tecnici - è l'uso in Afganistan, per volontà di un Donald Trump che mostra la muscolosa potenza militare degli Stati Uniti, di una terribile superbomba...