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30 mar 2017

Giornalisti di ieri e di oggi

di Luciano Caveri

Appena uno si distrae, gli anni passano e ti ritrovi da giovane di belle speranze a attempato osservatore di un mondo che cambia e talvolta appare in netto contrasto con alcune certezze nel tempo intoccabili. Ormai mi avvicino pericolosamente ai quarant'anni di attività giornalistica, anzi - se penso alle prime esperienze in erba - quel traguardo l'ho già superato. Spiace constatare come il lavoro del giornalista si sia lentamente e inevitabilmente precarizzato. Una volta esisteva - ed io l'ho vissuto, per mia fortuna - una porta d'ingresso principale: la strada per diventare "professionista" era stretta ma non impossibile a favore dell'articolo 1, cioè "praticantato" e successivo esame di Stato.

Oggi ai ragazzi che vengono da me, pieni di entusiasmo e di vitalità, racconto scenari di lunghi percorsi, che non sempre significano arrivare a fare il mestiere giornalistico con tutti i crismi e soprattutto con i contratti che ti tutelino, restando appiccicati ad una traballante "partita Iva". Mentre nessuno penserebbero a proporre un pezzo di pane ad un artigiano - che so un idraulico od a un elettricista - il giornalista invece lo si svaluta come se il suo fosse più un divertissement che un lavoro. Un amico giornalista mi ha mandato quanto raccontato da Simone Cosimi su "Wired": «Una testata giornalistica online cerca un direttore che scriva cinque articoli al giorno, corregga e pubblichi quelli dei collaboratori, li socializzi e moderi il forum. Retribuzione sulla base degli introiti pubblicitari generati. Avete presente l'ultima frase dei "Servi della gleba" di Elio?». Il collega lascia in sospeso la citazione greve, che io riporto, pur essendo brutale: «Mi vuoi mettere una scopa in culo così ti ramazzo la stanza?». Mi scuso, ma credo renda il concetto meglio di molti giri di parole... Cosimi aggiunge più avanti come non possa passare «l'idea che chiunque possa fare tutto, con buona pace di competenza, approfondimento, scrupolo, dignità personale». Aggiungendo poi un appello all'Ordine dei giornalisti: «Che l'Ordine debba riformarsi è una necessità pluridecennale. Lo sappiamo tutti. Tuttavia sputare sull'unico organismo che potrebbe (dovrebbe) intervenire in situazioni tanto miserevoli è però autolesionistico. Facciamo in modo che quella struttura si renda utile e lavori davvero per la tutela di questo mestiere, travolto da sfide enormi ma di cui c'è enorme bisogno, che non significa "difendere la casta". Ma quale casta. Significa per esempio controllare una ad una questo genere di proposte di lavoro. Sarebbe un buon punto di partenza per recuperare un rapporto sano con chi scrive, comunica e realizza servizi non solo per la quantità ma soprattutto per la qualità e per un'informazione indipendente e di buon livello». Parole sacrosante, pensando al paradosso: una volta le testate e le modalità di diffusione erano ben più limitate di quelle di oggi, mentre oggi sono moltiplicate rispetto alla sola è originaria carta stampata, grazie alle molte tecnologia dei media. Eppure, rispetto al passato, si nota come questo teorico aumento delle occasioni di lavoro si infranga contro contratti zoppicanti e lunghi tempi di attesa, se mai ci si arriva, per avere quelle stabilizzazione senza la quale può capitare - e in Valle d'Aosta è successo - che persone con evidenti doti e capacità lascino con delusione, sua e nostra, il giornalismo per lo sfinimento di lunghe attese mai sfociate in qualche cosa di rassicurante e concreto. E sarebbe bene, invece, avere giovani giornalisti valdostani, conoscitori del nostro piccolo mondo, in grado di raccontarlo giorno dopo giorno.