Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
20 gen 2017

Miseria e Nobiltà

di Luciano Caveri

C'è un vecchio film, tratto da una commedia, che vi sarà capitato di vedere in una delle molte repliche televisive e che è interessante per la presenza di un godibile Totò, personaggio sottovalutato e sfottuto in vita e assurto poi in una fase postuma - come spesso avviene, purtroppo - a maschera celebrata, essendo erede di certa "Commedia dell'Arte", che rappresenta i vizi umani che restano tali e quali, sfidando il tempo che passa e pure la provenienza geografica. Si tratta di "Miseria e Nobiltà", il cui sunto è: qual è la vera nobiltà? Quella del nome o quella dell'animo? Il tema è interessante e vale per riflessioni sempre buone nella nostra esperienza di vita, in cui ti accorgi sempre di più che non bastano certi lombi - intesi come stirpe - o certe condizioni sociali o intellettuali per fare di una persona qualcuno che vale. Ci sono elementi altri, diversi che - nella fragilità della nostra condizione umana - fotografano le persone, creando le basi per la stima e talvolta l'amicizia.

Ma questo non vale solo per le persone, ma anche per le comunità e su questo concetto, assieme all'imprescindibile senso identitario, ha scritto molto l'appena scomparso sociologo Zygmunt Baumann. Cito un brano fra i molti interessanti: «Se ai giorni nostri non c'è argomento di cui si parli con maggiore solennità o con più gusto che di "reti", "connessioni" o "relazioni", è solo perché la "roba autentica" - le reti strettamente intrecciate, le connessioni salde e sicure, le relazioni a tutto tondo - in pratica si è sgretolata. […] se parliamo costantemente di reti e cerchiamo ossessivamente di evocarle (loro almeno o i loro simulacri) con gli "appuntamenti-lampo" e i magici incantesimi dei "messaggi" via cellulare, è perché avvertiamo acutamente la mancanza del sistema di protezione che le reti reali di parentela, amicizia, fratellanza fornivano concretamente, con o senza i nostri sforzi. Le rubriche dei cellulari sostituiscono la comunità mancante e fanno le veci (o almeno si spera) dell'intimità mancante: portano un carico di aspettative che non hanno neanche la forza di sostenere, figuriamoci di mantenere. […] Esposti ai "contatti resi facili" dalla tecnologia elettronica, perdiamo la capacità di entrare spontaneamente in interazione con le persone reali. In effetti siamo diventati più timidi nei contatti faccia a faccia. Afferriamo i nostri cellulari e pigiamo furiosamente nei bottoni e impastiamo messaggi per evitare di "darci in ostaggio al destino" e fuggire dalle complesse, disordinate, imprevedibili, difficili da interrompere e da concludere, interazioni con le "persone reali" presenti fisicamente intorno a noi». Così diventa tutto più difficile per chi - anche nella pur piccola Valle d'Aosta - si interroga sul senso profondo della cangiante identità valdostana e si accorge di come la stessa Autonomia, un mito fondante dell'attuale assetto istituzionale incarnato dalla Specialità, sia avvolto sempre più dal difficile distinguo, evocato all'inizio, della "Miseria e Nobiltà". Di questa situazione la Politica valdostana è espressione massima e non mi chiamo affatto fuori, visto che ho fatto parte con ruoli di responsabilità, anche se penso - immodestamente - di essere sempre rimasto granitico nelle mie convinzioni, anche quando ho visto molti che si facevano trascinare dalla risacca degli avvenimenti. Quel che colpisce oggi, nel grande affaccendarsi attorno al simbolo massimo, cioè la Regione autonoma, in legittime lotte di potere, è una sorta di solitudine di quello che Pier Paolo Pasolini - con un'intuizione che entrò nel lessico nel lontano 1975 - chiamò "il Palazzo", che in Valle d'Aosta per altro esiste e si estrinseca addirittura nei piani del potere. L'impressione, però, è che molte delle cose che avvengono oggi impattano con una comunità alla ricerca i nuovi equilibri, non rappresentata affatto dall'immagine facile della descrizione che molti di noi ne hanno fatto. Sempre Pasolini, negli stessi anni, accusava il potere romano di non essersi accorto di tanti e lo fece con un'altra metafora diventata celebre, il passaggio dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole", riferendosi proprio alla catatonia con cui non ci sia accorse della scomparsa dei celebri e luminosi insetti come esempio di incapacità di cogliere i cambiamenti in corso. Ebbene, nella Regione Valle d'Aosta attuale sono tanti gli elementi che mostrano - e non solo l'astensionismo, ma anche il disamore per forme di organizzazione politica tradizionale - di come non ci si renda conto di come, per scelte interne e mutazioni profonde degli scenari in cui siamo inseriti, le cose siano cambiate e di come non basti cambiare la copertina del libro per adeguarsi in modo efficace. E' importante interrogarsi sull'origine dei meccanismi che hanno ingessato il sistema e che hanno fatto confusione di valori, mischiando appunto in un pastone grigio e informe "Miseria e Nobiltà".