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27 dic 2016

Ich bin ein Berliner

di Luciano Caveri

L'orrore piomba nelle nostre case addobbate per il Natale, festività ormai rappresentata in tutta Europa dal pullulare di quei gioiosi mercatini natalizi nati secoli fa in area germanica. Come a Nizza il 14 luglio, quando un Tir piombò sulla folla inerme che era lì per i fuochi d'artificio sul lungomare, un grande camion ha spazzato via ieri sera molte persone che a Berlino si aggiravano per le bancarelle di uno storico mercatino natalizio. Un attentato islamista, che diventa una strage efficace nella rozzezza della sua esecuzione tecnica e nel disegno di morte accompagnato non solo dalla scelta politica di data e luogo che mira a colpire la Germania che si prepara alle elezioni ma anche dal gusto criminale di uccidere a casaccio noi occidentali a poche ore da quell'evento simbolico per tutta la cristianità e anche per chi non credente condivide certi valori simbolici che il Natale rappresenta. Tutti noi, le nostre famiglie, le nostre comunità, siamo considerati infedeli da macellare come montoni per chi pratica un integralismo religioso violento e irragionevole, così siamo considerati come birilli abbattuti senza scrupoli e con gioia dei fanatici alla guida di quel camion.

Viene così e anzitutto da riprendere quella celebre frase «Ich bin ein Berliner» pronunciata il 26 giugno 1963 da John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti d'America, durante il discorso tenuto a Rudolph Wilde Platz, di fronte al Municipio di Schöneberg, mentre era in visita ufficiale alla città di Berlino Ovest. La frase, tradotta in lingua italiana, significa «io sono un berlinese» e voleva esprimere con efficacia rimasta proverbiale la solidarietà per quella città diventata simbolo della guerra fredda dopo essere stata spezzata in due dal celebre muro. Oggi quell'espressione vale per lo sgomento nella Capitale tedesca e per una Germania che più di altri Paesi ha accolto nei decenni passati comunità di origine islamica sino a sfiorare i cinque milioni di persone e lo ha fatto ancora oggi accogliendo un numero enorme di migranti dei recenti flussi verso l'Europa e questa apertura, pur di recente sottoposta a regole più cogenti, peserà sulla possibile rielezione di Angela Merkel. Restano la paura e la preoccupazione che ammorbano la nostra vita, che ha già la sua dose di preoccupazioni e problemi. Sono stato qualche giorno fa ai mercatini di Natale di Strasburgo e la presenza impressionante ad ogni angolo di Forze dell'ordine e militari in assetto di guerra esprimeva più di altro la consapevolezza di un luogo considerato pericoloso, specie attorno alla celebre Cattedrale, presidiata non a caso per il suo elevato valore simbolico. Confesso che mi aggiravo in quel luogo colorato e allegro con tutti i simboli di Natale sfavillanti con un senso di inquietudine e guardingo. Questa è la condizione in cui ci vogliono ridurre, ma a Strasburgo ci sono stato lo stesso, come avevo fatto con Parigi dopo i terribili fatti del "Bataclan", perché la vita non si ferma perché lo vogliono loro. Certo che, giorni fa, di fronte alla casetta di Babbo Natale a Torino in Piazza d'Armi, in mezzo ad una ressa incredibile di famiglie in fila per la visita, ho misurato con sconcerto - non essendoci nessun rappresentate delle Forze dell'ordine a presidiare un luogo così affollato - certe differenze negli apparati di prevenzione. A meno che l'Italia, sinora e per fortuna mai colpita da attentati, non abbia non solo chissà quali apparati di "intelligence" efficaci, cui si affiancano alcune sentenze benigne verso gli islamisti che hanno lasciato esterrefatti gli inquirenti, ma che ci sia - come autorevoli commentatori hanno adombrato - un qualche "patto segreto" che ci tiene al riparo da certi eventi e certo agevolerebbe chi ci odia. Questo magari ci potrebbe tranquillizzare, ma se così fosse e mi auguro che così non sia ci sarebbe da vergognarsi, pensando al tributo di sangue degli altri europei.