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19 dic 2016

Il senso dei regali (compreso Gentiloni...)

di Luciano Caveri

Il tema è sicuramente di stagione: alzi la mano chi, in piccolo o in grande, non si sta scervellando per decidere quali regali comperare per i propri cari e i propri amici. Verrebbe da dire che un primo regalo, in vista del 25 dicembre, è stato fatto dal nuovo presidente del Consiglio Paolo Gentiloni alla graziosa Maria Elena Boschi («se perdo il referendum lascio la politica») assurta a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, a Luca Lotti all'incredibile Sport (sic!) e ad Angelino Alfano agli Esteri (giubilo in Kazakistan), mentre le conferme di Beatrice Lorenzin alla Sanità e di Giuliano Poletti al Lavoro non possono essere nient'altro che un refuso, forse sono "big" al "Festival di Sanremo"... Matteo Renzi, oltre alla campanella, deve aver regalato a Gentiloni una fotocopiatrice.

Ma oggi non me la sento per un senso di nausea di parlare di politica e mi concentro proprio sui regali! In fondo va detto che la soluzione adottata con i bambini - letterina a Babbo Natale od a Gesù Bambino - risulta alla fine la più logica: nel loro elenco ci sono delle priorità che evitano voli pindarici e soprattutto i terribili doppioni. Conosco degli adulti (tipo mia moglie) che hanno scelto un metodo meno cogente di quello infantile e con l'uso pure meno aulico di una posta elettronica con indicazioni scritte a scelta, tipo i quiz della "scuola guida", che permettono in un ragionevole range di spesa di poter prendere due piccioni con una fava: ottenere un regalo che piace senza "se" e senza "ma" ed evitare quella scena patetica di un regalo considerato sbagliato o inadatto ben visibile dal volto quando si scarta l'oggetto. Anche se - intendiamoci bene - a me non spiace neanche la sorpresa come elemento spiazzante. Osservava intelligentemente Theodor Adorno: «La decadenza del dono si esprime nella penosa invenzione degli articoli da regalo, che presuppongono già che non si sappia che cosa regalare, perché, in realtà, non si ha nessuna voglia di farlo».
 Certo i regali natalizi (che poi per me coincidono con il compleanno ed è situazione bizzarra) non sono tutti uguali e mutano nel tempo e secondo le circostanze. Ci vorrebbe una specie di timbro per distinguere quelli sinceri da quelli falsi, quelli fatti con il cuore e quelli fatti senza sentimento. I bambini godono di una sorta di immunità, che li rende candidi anche se - vittime della pubblicità - questo non vuol dire che non siano più pretenziosetti dei loro padri, mentre gli adulti hanno maggior capacità di discernimento, che consente, ad esempio, di dare un valore al regalo che non dipende affatto dal suo intrinseco costo. Nella mia vita ho avuto regali assai costosi, che mi sono risultati antipatici come le persone che lo hanno fatto, e pensieri semplicissimi che mi hanno fatto un maggior piacere, perché vedevo trasparire il calore dell'affetto. Con il passare del tempo, comunque sia, sono diventato - nell'offrire i regali - maggiormente selettivo, forzando una mia indole generosa, ma cancellando di fatto parecchi di coloro che non meritano di essere davvero nei miei pensieri. Meglio spendere qualcosa nell'anonima beneficenza che dare a qualcuno qualcosa che poi si sa già non sarà accolto per quello che dovrebbe essere e cioè un pezzo di me dato a qualcuno perché mi abbia con sé. E' divertente poi pensare all'incrocio delle lingue perché "regalo" arriva in italiano dallo spagnolo nel XVI secolo, ma a sua volta lo dallo spagnolo "regalar, lusingare, far doni", in origine "festeggiare, far accoglienza" è legato al francese "régaler, offrire un festino", da "galer, divertirsi". Ma noi valdostani, grazie al bilinguismo, conosciamo anche "cadeau", che deriva - dice un dizionario etimologico - dall'antico provenzale "capdel, personnage placé en tête, capitaine, lui-même du latin classique capitellum" e sarebbe "grande initiale ornementale, comprenant souvent une figure de personnage, placée en tête d'un alinéa", ben visibile negli antichi testi istoriati. Ma in francese si usa, invece, il verbo "regaler, offrir quelque chose à quelqu'un, agir de façon lui plaire", che può avere anche un significato più intimo di dare piacere a qualcuno... Mette d'accordo entrambe le lingue il termine forse desueto, ma carico di significati, che è "dono", che viene da "dare", che viene a sua volta dal latino "dăre, dare, donare", da cui il medioevale "dóno". Termine che esiste esattamente uguale nel francese "don" che vuol dire "action de donner, de céder gratuitement et volontairement la propriété d'une chose". Insomma: nelle lingue neolatine tutto torna. Per altro sul dono resta centrale quell'ormai vecchio saggio - che ho studiato all'Università - di Marcel Mauss, individuava tre caratteristiche fondamentali del dono: "dare, ricevere, ricambiare" e mostra come i tre fondamenti del dono fossero essenzialmente obbligatori all'interno delle comunità primitive da lui studiate. Si deve "dare" per mostrare la propria potenza, la propria ricchezza; si è nell'obbligo di "ricevere", cioè non si può rifiutare il dono, pena l'esclusione da parte della comunità ed il disonore; si deve "ricambiare", cioè restituire alla pari o accrescendo ciò che si è ricevuto: restituire meno di ciò che si è ricevuto è un'offesa al donatore. Sono elementi sepolti in ciascuno e, anche se noi la facciamo più semplice nella nostra vita quotidiana, ogni dono ha come un filo interminabile che lo lega all'uso sociale che ne ha fatto l'Umanità prima di noi.